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Una musicista italiana in America

Le immagini dell’articolo sono dell’autrice e di Pixabay

Sono dieci anni ormai che vivo negli Stati Uniti e lavoro nel settore della musica classica come musicista.
Mi sono formata in Italia dove, prima di trasferirmi, ho svolto la professione per molti anni.
Appena sbarcata in territorio Usa, le differenze culturali le ho sentite sotto ogni punto di vista, ma qui vi voglio parlare delle differenze nel settore musicale.
Ciò che emerge subito è il valore che si dà alla formazione musicale.

La scuola, fin dalle elementari, mette a disposizione di tutti la possibilità di suonare uno strumento: in un’orchestra per gli archi e le percussioni, in una banda per gli strumenti a fiato, oppure si può far parte di un coro.
È per questo che quasi tutti sanno leggere la musica e “suonare” uno strumento che non sia solo un flauto dolce o una diamonica.
Ai ragazzi si apre un mondo, fin da piccoli hanno la possibilità di familiarizzare con uno o più strumenti e la musica, con naturalezza, diventa parte del quotidiano. 
Ovviamente, per diventare musicisti professionisti bisogna intraprendere percorsi individuali di studio, ma la scuola dando la possibilità di fare esperienza è comunque un ottimo punto di partenza per capire le proprie attitudini verso questa disciplina.

Gli Stati Uniti sono una nazione giovane, con un passato “recente” e la musica rispecchia questa caratteristica. 
Nei programmi da concerto dei teatri ci sono, oltre ai grandi classici, anche brani di musica contemporanea che vantano un ampio seguito di pubblico.
Questo fa sì che ci siano molti più artisti che producono musica inedita creando più possibilità lavorative ai musicisti. Ne avranno bisogno sia come collaboratori in studio che live.

In Italia invece, il “nuovo” spaventa, siamo ancorati ad un repertorio che rappresenta la nostra cultura storica.
Siamo imbattibili nell’espressione e nei colori del linguaggio musicale, ma veniamo battuti se si parla di quantità di repertorio letto nell’arco di una vita lavorativa.

Cittadina italiana

Un’altra differenza evidente è che in Italia non ci sono i budget, la vita del musicista e dell’artista in genere è fatta di tanta fatica e poco guadagno.
Sono pochissimi i privilegiati che possono mantenersi con la musica.
Non c’è posto per tutti nelle orchestre e neanche nei conservatori per insegnare.

Come in Italia, anche negli Usa gli aiuti dello stato sono ridotti al minimo, ma ci sono consistenti aiuti elargiti dai filantropi, donors privati che scelgono di investire nella musica essendo favoriti dalle previste, consistenti detrazioni fiscali.
ll diverso atteggiamento della società verso il musicista fa sì che la musica non rimanga solo un’espressione artistica, ma diventi una vera e propria professione.
Le orchestre, i gruppi da camera e i compositori vivono sulle spalle dei donors, infatti molti musicisti non rincorrono il posto fisso, ma se sono bravi possono vivere da freelance. Il lavoro del musicista, dell’artista in generale è mosso da connessioni, ricerca di contatti, bisogna essere intraprendenti, curiosi e sapersi vendere bene.
In Italia purtroppo gli artisti non sanno valorizzare il loro ineguagliabile patrimonio.

Negli Usa un bravo musicista si guadagna il lavoro sul campo, non solo con i titoli di studio, ma dimostrando il proprio talento. Se ti trovi nel posto giusto al momento giusto e sai dimostrare di essere il migliore per quella opportunità, il lavoro è tuo. “Meritocrazia” e “reputazione” sono le parole chiave. Le possibilità nascono come diretta conseguenza della qualità che ognuno porta nei propri ambiti professionali.
Il fatto di doversi confrontare con realtà al top, spinge a dover essere sempre al top.

New York panorama

Vi faccio un esempio, parlando di un fatto che mi riguarda personalmente.
Sono ormai cinque anni che lavoro per “A Musical Heart” (https://amusicalheart.org),
un gruppo di musicisti professionisti che accompagna, con la musica, la fase terminale della vita dei pazienti all’interno degli Hospice.

Avevo avuto il desiderio di iniziare questa attività anche quando ero in Italia, ma non avendo un titolo per poter esercitare la musicoterapia, non mi era stato possibile farlo, neppure offrendomi come volontaria, perché mi veniva negato l’accesso alle strutture ospedaliere.
Questo lo chiamo perdita di opportunità e spreco di risorse.

Negli Usa, con lo stesso livello di istruzione musicale, dopo aver fatto delle ricerche, sono arrivata al capo fondatore dell’associazione “A Musical Heart”. L’unica cosa che ho dovuto mostrare è il mio diploma di musica e fare una prova, suonando, per fargli capire che potevo avere attitudine per questo tipo di lavoro.
Sono stata affiancata, per diverso tempo, da chi lo faceva già, ho dovuto fare corsi di formazione, gratuiti, nelle strutture ospedaliere e tutto ha avuto inizio.
Il nostro gruppo è finanziato dalle stesse famiglie dei pazienti, dopo aver ricevuto il servizio effettuano delle donazioni che permettono di continuare l’attività anche per altre persone.

Vorrei concludere dicendo che il patrimonio artistico italiano è comunque ineguagliabile e che il mio più grande sogno è di rientrare un giorno in Italia e scoprire che finalmente viene valorizzato.
Non ci manca assolutamente niente, se non quella convinzione e sana competizione che non ti lascia adagiare, ma che ti fa lavorare sempre meglio.

La marcia in più che hanno gli americani è che loro credono fermamente in quello che fanno.

 

 

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Pubblicato inBlog

5 commenti

  1. Carlo Carlo

    Caterina bravissima orgoglio non solo di mamma Anita , ma dei tuoi concittadini prima e dopo il ponce.

  2. Marcello Fontani Marcello Fontani

    Bravissima Caterina…..sono un amico d’infanzia del tuo babbo Paolo, eravamo amicissimi e cresciuti insieme alla nostra Isola d’Elba.
    Un grande abbraccio.
    Marcello Fontani

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