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Donna e non più giovane

Riflessioni di una donna

Capita a tutti, una volta nella vita o anche di più, di essere delle brave persone. Niente di straordinario, del resto la natura umana alle origini è stata progettata proprio per far sì che non desse il peggior esempio tra le altre creature. Poi Adamo e la sua amica Eva fecero il resto: il serpente, di cui non si seppe mai il sesso, sibilò proprio all’orecchio della donna la proposta indecente. Perché a Eva e non ad Adamo? Ma perché il/la serpente/a sapeva il fatto suo: aveva intuito che la creatura femminina avrebbe avuto più ascendente di quella mascolina nel convincere chiunque a mangiarsi la mela e chi s’è visto s’è visto. Fatto rimane che col passare dei secula seculorum, sulla dabbenaggine del maschio del paradiso terrestre si sarebbero sedimentati strati di livore per quell’episodio che significò la cacciata da quel luogo incantato all’indirizzo di un altro ben meno appetibile e assai più faticoso da organizzare (mannaggia a Eva!).
O magari l’odio scaturì anche a causa di altri episodi qualsiasi, nella storia ce ne sono tanti, che lo videro sconfitto a opera di una femmina. Fatto sta che neanche oggi il maschio deve aver risolto questo suo problema. Presenti esclusi, ovviamente.

A questa riflessione sono giunta l’altro giorno, per dire, poco tempo fa, appena scantonati i cinquant’anni. Prima no, perché non mi ero accorta di poter mai avere problemi di relazione con gli uomini, anzi. Per la maggior parte delle volte, quando non mi apparivano sciocchi, i maschi li ho amati; mi sembravano bravi, onesti e senza malizia, come il bischero che era Adamo. Ma non è stato così: allo spuntar delle rughe, vi confido, ho smesso di pensar bene. Posso fare degli esempi, come quando si dice “Ora ho le prove”. Non approfondirò i meriti, ché di solito la ragione ti sparisce tra le dita, son quisquilie.

Una persona di sesso maschile neanche cattiva, non molto tempo fa mi fece capire gridandomelo nel ricevitore del telefono (non de visu) che “se fossi stata più giovane e uomo, gli avrei fregato sicuramente il lavoro”. Forse si trattava di un complimento? Ma no, non si urlano complimenti al telefono… Piuttosto fu paura.

Un po’ più tardi un altro, dopo aver agito malignamente trattandomi da bugiarda più volte, alla mia reazione di giusta protesta (tipo “e mo’ bbasta!”) rigira la frittata e ferocemente mi discredita, con tanto di riunione e voti, presso un buon numero di comuni conoscenti ponendosi sul capo l’aureola di poverocristo maltrattato. Da denuncia? Sì, ma anche no: non si denuncia uno che ha paura.

Un altro che è stato mio dirigente per qualche anno mi riattacca il telefono in faccia quando sto per confutare per filo e per segno certe sue tesi sui consigli di classe. Maleducazione? Certamente, ma più che altro credo sia stato il timore di non riuscire ad avere altri argomenti.  

Mio cugino, pochi mesi fa, stressato da una vita che forse non desiderava, con una futile scusa mi chiama e mi vomita addosso tutte le mie colpe di essere sempre stata la parente perfetta, la prof! Schiacciato e stressato? Di sicuro, ma anche impaurito dal fatto di continuare a dover mostrare le sue modeste prestazioni. Mi spiace ciccio, ma non posso farci niente.

Mi fermo qui. Più che ci penso, più che di litigi con persone di sesso maschile potrei raccontare. Ora, siccome a buon intenditor poche parole, preferisco riaffermare il concetto che essere donna e per di più non più giovane, non sia proprio cosa semplice. Implica l’uso di saggezza, pazienza, ma anche fermezza, forza e determinazione. Come quando si educa una bambina o un bambino. O anche un cane da riporto. 

Patrizia Salutij

Foto di Andreas Bodemer


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Un commento

  1. Arturo falaschi Arturo falaschi

    Vorrei modestamente notare che nella mia esperienza e in quella di molti uomini, molte sono le donne sceme incontrate. Il fatto è che l’imbecillità è una istituzione tra le più democratiche, non facendo distinzione di genere, razza, censo, nazionalità.
    Linferiorità sociale e quindi la discriminazione della donna è un fatto e, come ogni fatto, ha la sua ragione d’essere, la sua causa, la sua necessità.
    Attribuire il fatto all’imbecillità dell’uomo è sia troppo facile che troppo auto assolvente.
    Semmai, c’è da chiedersi: perché mai, se l’uomo è lo scemo che causa la discriminazione, la donna ambisce ad una sua parità? Ambisce ad essere scema pure lei?
    Recriminare è troppo superficiale e inconcludente. Si tratta, se mai, di capire.

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