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Donne che lottano contro un nemico, spesso invisibile: il pregiudizio

Le immagini sono di Letizia Vero

 In occasione della festa della donna pubblichiamo questo articolo di Gabriella Di Chiara  Battisti che propone un punto di vista su un tema ancora attuale nel vissuto femminile: il pregiudizio. Qualcosa su cui è importante riflettano le donne e gli uomini di oggi, nell’ottica di un’umanità più consapevole.

Amo coltivare rose, non rose anonime, bensì con il nome che ricordi un personaggio: questo è sempre di una personalità femminile eccelsa nell’arte, nella storia, nel costume o nella scienza.

Un fenomeno bizzarro quello che, ibridatori e ibridatrici, abbiano voluto immortalare donne particolari nel nome di una rosa e, magari, storici e accademici neppure menzionino.

La donna è ed è stata considerata dall’uomo, religioso e no, derivazione di sé, una copia incompleta e difettosa. Ciò è frutto di ignoranza, paura, soggezione inconscia e celato senso di inferiorità di fronte alle incomprensibili e inconoscibili capacità e potenzialità femminili: dare alla luce un altro essere, saper ascoltare, mediare, tentare, perseverare e molto altro ancora.

Aristotele con tutta la sua saggezza, professata e tramandata, definiva la femmina un maschio mancato e sosteneva che la natura femminile sia al pari di una menomazione.

Sono passati duemila anni e ancor oggi illustri accademici considerano gli studi scientifici non adatti alle donne per i soliti motivi “naturali”, rifiutando realtà esistenti.

Ipazia, matematica, filosofa, astronoma fu uccisa nel V secolo d.C. proprio per queste sue qualità e il suo voler diffondere il sapere anche al popolo. Esempio remoto e attuale di fondamentalismi maschili religiosi e no, nel tentativo di soffocare la ragione.

Il Medioevo brucia le streghe.

La Rivoluzione francese equipara uomini e donne solo sotto la lama della ghigliottina, condannando la rivoluzionaria Olympe de Gouges perché sostenitrice dell’educazione anche per le ragazze e fautrice dei diritti della donna e della cittadina

Nell’Ottocento e ancor più nel Novecento tante sono le donne che, pur a fatica, emergono ma rimangono sempre dei casi isolati; non cambia per la donna il concetto di non parità con l’uomo: ciò non è dovuto solo al fatto che egli fa della sua forza fisica o del potere il suo principio di dominio, invece della forza della ragione, ma è colpa anche dell’educazione atavica, che relega la donna, fin dall’infanzia, a determinati ruoli, giochi, letture e studi.

Purtroppo crescendo, stimolata anche dalla pubblicità, dai costumi, dai mass media, ella è portata spesso a considerare il proprio corpo attrattiva e preda per altri, mortificandolo e mortificandosi, invece di valorizzarlo parimenti alle proprie idee, convinzioni e scelte. Quasi, a volte, addossandosi la responsabilità delle tante violenze fisiche e morali dell’uomo.

Purtroppo, se non cambiano i metodi educativi e i condizionamenti fin dalla prima infanzia, anche in famiglia, sono inutili le dimostrazioni simboliche o eroiche di tante donne sparse e divise in questo grande Paese. L’effetto della loro rivolta, della loro lotta e della loro denuncia non va oltre un risentimento generico, una condanna dell’accaduto e dei colpevoli: tutto ciò non basta a cambiare il futuro.

Elena Gianini Belotti, insegnante oltre che scrittrice, analizza l’educazione dei bambini e nel testo Dalla parte delle bambine (1973) afferma che non esistono qualità maschili e qualità femminili, ma solo qualità umane. Prosegue affermando, in merito alle differenze tra sesso maschile e sesso femminile: Può darsi che la biologia c’entri, ma non potremo saperlo se non quando i condizionamenti secondo il sesso saranno scomparsi.

Aggiungo, inoltre, che i ruoli dell’uomo e della donna non cambieranno finché si faranno dei confronti, ma solo quando si penserà ai due come uno “altro dall’altro”: nature diverse, atte a fare cose diverse, e uguali per integrarsi, collaborare, mediare gli uni con le altre, mai tra loro in competizione.

Sarebbe giusto scambiare, alternare, avvicendare le proprie vite interagendo in ambito familiare, sociale, politico, con il comune convincimento che ciò porta a una esistenza più proficua, più serena, più progredita. Ma siamo giunti al secondo millennio e possiamo solo sperare che le “crepe” che si stanno aprendo nell’egocentrismo maschile in altri Paesi europei, con le elezioni ad alte cariche di figure femminili, possano lentamente formarsi anche in Italia; non per un principio di prevaricazione, ma di uguaglianza di genere in tutte le sue forme e attività, come sottolineato dalla Commissione europea, entro il 2030.

Le donne dovranno farsi strada da sole, finché saranno gli uomini, da soli, a sancire i percorsi.

Possiamo iniziare abolendo l’8 marzo come festa della donna, non dimenticando il fatto storico, ma non eleggendo quella data a un giorno di “libertà condizionata” per le donne: è estremamente riduttivo, sia per queste ultime che per gli uomini al loro fianco.

Parità di diritti e di doveri richiede un’umanità evoluta!

Gabriella Di Chiara Battisti

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