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Pace e dintorni

La foto centrale e quella di copertina sono dell’archivio Pixabay

Leggere questo articolo sulla pace aiuta a chiarire le idee per la forza equilibrata, pacata ma determinata che questo scritto esprime.

In questo momento così tragico in cui immagini di guerra, di morte e distruzione sono continuamente davanti ai nostri occhi, scrivere qualcosa a proposito della pace mi mette a disagio.

Di fronte a tanto orrore preferirei il silenzio al posto di parole spesso inutili o retoriche. Il silenzio come partecipazione alla sofferenza degli altri, avvertendo che il dolore di un altro essere umano, a qualsiasi popolo appartenga, è anche il tuo dolore, ti coinvolge e non ti può lasciare indifferente. Quando si scatena una violenza efferata ti senti del tutto impotente, sopraffatto. Scendere in piazza contro la guerra, venire incontro alle necessità delle vittime non può bastare. È importante essere solidali e ribadire con forza il nostro desiderio di rimanere umani ma nello stesso tempo non possiamo rinunciare a chiederci quali possano essere le cause che scatenano la guerra: gli interessi economici, le spinte nazionalistiche che portano ad uccidere, a massacrare chi, del tutto simile a te, ora definisci nemico da eliminare. In questo senso la storia del passato sembra non averci insegnato niente. Il colonialismo italiano, soprattutto di epoca fascista, è stato spesso giustificato con false propagande: portiamo ai barbari la nostra civiltà, costruiamo ponti, strade e opere pubbliche, nascondendo totalmente i nostri interessi economici e sociali quali l’accaparramento di materie prime e lo sfruttamento del territorio a nostra utilità.

Pur non essendo esperta di economia e di finanza capisco che in ogni guerra questi aspetti sono dominanti sia in Oriente che in Occidente, nei Paesi democratici come in quelli autoritari. Dovunque si possono scoprire falsità, ipocrisie, contraddizioni. Falsità quando si parla di esportare la democrazia; una volta raggiunti i nostri interessi ci ritiriamo abbandonando i popoli alla loro precedente situazione. Falsità quando, per attaccare uno stato ed un regime dittatoriale, si parla di presenza di armi di distruzione di massa, salvo poi ammettere che si trattava di un pretesto. Falsità anche quando si stravolge il significato delle parole parlando assurdamente di guerra “umanitaria”. Ipocrisie quando si affidano ad Erdogan i profughi di guerra pagandolo lautamente e non vedendo i crimini che lui stesso sta commettendo ai danni del suo popolo.

Ultimamente ho sentito più volte ripetere che la guerra da ottanta anni era scomparsa dall’Europa. Forse la nostra memoria è volutamente troppo corta. Negli anni novanta del secolo scorso la guerra scoppiava proprio ai confini dell’Italia, nella ex Jugoslavia, con migliaia di morti e di stragi, da Srebrenica a Sarajevo a Belgrado.

Altre guerre, anche molto recenti, che magari non si sono combattute in Europa, ci hanno toccato solo marginalmente. Penso alla Siria, alla Libia, allo Yemen, al Corno d’Africa, all’Afghanistan. Anche da questi Paesi, da queste guerre, sono fuggiti milioni di profughi che noi Occidentali, europei democratici, non abbiamo accolto con generosità, spesso al contrario abbiamo respinto con muri o abbandonato alla morte in mare.

Un modo di agire ricco di contraddizioni e di ipocrisie su cui sarebbe opportuno riflettere a lungo.

Noi italiani abbiamo avuto, nel passato, grandi testimoni di pace. Persone nonviolente, radicali, che hanno pagato duramente le loro scelte. Penso in particolare ad Alex Langer, al suo coraggio e al suo impegno continuo contro la guerra nella ex Jugoslavia e a Gino Strada presente nei teatri di guerra, con gli ospedali di Emergency, per curare e guarire i feriti provenienti da qualsiasi fronte.

Un’altra enorme ipocrisia di noi Paesi occidentali e democratici consiste nel dichiararci sempre paladini e custodi dei diritti fondamentali dell’uomo ma poi, nel nome dei nostri interessi economici, non ci facciamo scrupolo nel fornire strumenti di guerra a Paesi che continuano a praticare la tortura o la pena di morte.

Capovolgendo un famoso detto latino è necessario affermare: se vuoi la pace, prepara la pace.

Preparare la pace significa cercare, ogni giorno, di costruire un mondo più giusto, più solidale e fraterno, più libero e rispettoso dei diritti di tutti, anche del nostro pianeta e di tutti i viventi, partendo da noi stessi e dalle nostre relazioni fino alle istituzioni sociali e politiche.

Può sembrare un sogno impossibile da realizzare, ma sono convinta che nel mondo molte persone e molti gruppi stiano coltivando questo pensiero e cerchino di viverlo e realizzarlo, forse in modo semplice ma costante nel tempo.

Banksy: Tiratore di fiori

Questo modo di agire forse un giorno non lontano potrà generare un cambiamento di mentalità più efficace anche sul piano concreto, per evitare guerre come quella che sta insanguinando l’Ucraina in questi giorni.

Carla Ermoli

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