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Lo stadio

Tema n. 5 Cronaca di un evento sportivo a cui hai partecipato tu o una persona a te cara o che ricordi con piacere.

Ero un bambino quando giocò a Livorno il grande Torino, quello di Valentino Mazzola, Bagicalupo, Gabetto, quello finito a Superga.

Il Torino vinse per quattro a zero e dette grande spettacolo.
A fine partita accadeva, di solito, che la squadra avversaria, qualunque fosse stato il risultato, si portasse a centro campo per salutare il pubblico. Quel pubblico che aveva fatto per due ore un tifo infernale a sostegno della squadra di casa.
Per tifo infernale si intende una situazione tale per cui un attuale stadio potrebbe essere, al confronto, una chiesa durante la messa. Niente cori, niente organizzazione: ognuno urlava quello che voleva in un frastuono che non permetteva di udire la voce di chi ti sedeva accanto. Tanto che chi era andato allo stadio era poi facilmente riconoscibile per la voce roca o addirittura assente.

Bene: in questo clima, quando la squadra avversaria si presentava a centro campo per salutare il pubblico, il pubblico, finito il tifo, applaudiva.
Ma il grande Torino fece di più: invece di andare al centro, fece un giro di campo, lungo la pista di atletica e da lì salutava il pubblico. Al passaggio dei giocatori, tutti ci alzavamo in piedi e applaudivamo convinti la squadra che ci aveva rifilato quattro goal.

Poi il Livorno andò sempre peggio e io, per molti anni cessai di andare allo stadio. Ci tornai trascinato da mio figlio per vedere non il grande Torino ma il modesto Pontedera. Così, quando la squadra di casa entrò in campo dagli spogliatoi, assistetti, stupito, ai fischi e agli insulti con cui furono accolti quei giocatori avversari che non avevano altra colpa di essere, appunto, avversari senza i quali la partita non avrebbe avuto senso.
Nauseato, cessai di nuovo di andare allo stadio.

Finché il Livorno, in serie B, ottenne la promozione in serie A. L’ultima partita di quel campionato, era contro il Palermo primo in classifica (il Livorno era secondo). Qualunque fosse stato il risultato, entrambe le squadre sarebbero comunque state promosse.
Pensai che proprio per questo, sarebbe stata una bella partita e così fu.
Ero seduto in gradinata, nei pressi della porta lato Ardenza, vicino a una famigliola di padre, madre e un bambino di una decina d’anni.
La partita finì uno a uno. Il Livorno andò in vantaggio ma poi il Palermo pareggiò con una rete della punta, Luca Toni, futura punta della nazionale ma ancora poco noto.
Il goal fu un capolavoro di potenza e agilità. uno spettacolo che valeva, da solo, il biglietto di ingresso. Istintivamente applaudii ma dovetti subito smorzare l’entusiasmo dal momento che tutti si erano voltati verso di me con aria interrogativa.

Luca Toni, secondo un deprecabile vezzo dei moderni divi del calcio, aveva il costume di festeggiare la rete agitando una mano vicino all’orecchio quasi a dire: ” Non so se hai capito…”
Nel fare questo, si avvicinò alla gradinata dove mi trovavo io. Il pubblico, in piedi, cominciò a inveirgli contro in una manifestazione di odio incontenibile, come se lui, facendo un gesto atletico di rara bellezza, avesse commesso chissà quale delitto contro l’umanità.
La famigliola vicino a me, bambino compreso, era talmente furente che, ne sono convinto, se avesse avuto a disposizione delle bombe a mano, non avrebbe esitato a lanciarle.

Uscii dallo stadio amareggiato, ricordando Livorno -Torino quattro a zero e gli applausi convinti a Mazzola e compagni che non agitavano la mano intorno all’orecchio, sbeffeggiando l’avversario, quando facevano goal, ma pur sempre avversari erano, meritevoli di avere offerto un grande spettacolo di calcio.

Cosa era cambiato da allora? Semplice: soltanto la civiltà.
Questa foto è di cocoparisienne (Anja), Pixabay

Le altre due foto compresa quella in copertina sono del reparto grafica di a.l.a.

Arturo Falaschi

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