#PABlog Tema 1: Una ricetta di cucina
Sarà capitato anche a voi di assaggiare un piatto per la prima volta oppure uno che abbia un sapore diverso da quello a cui è avvezzo il nostro palato. Questo è il motivo per cui una stessa ricetta cucinata da mani diverse avrà sempre un sapore che cambia, più buono per alcuni e meno appetitoso per altri.
Nella mia famiglia finora non ci sono vegetariani e nemmeno vegani ma potranno esserci e saranno i benvenuti, tuttavia non avranno il piacere di assaggiare alcuni piatti della tradizione culinaria, rigorosamente a base di carne e di pesce, creati dalle abili mani di parenti che neppure ho mai conosciuto ma le cui ricette sono state tramandate per generazioni, scritte una prima volta e poi modificate nel corso del tempo con un tocco personale che se ha guastato, per alcuni, la ricetta originaria, per altri ha esaltato i sapori rendendola praticamente perfetta.
La maionese di zio Piero è ricordata ad esempio come un portento di bontà: in tanti hanno cercato di imitare la ricetta originaria ma nessuno è riuscito mai a farla buona come la sua; si vantava che il segreto consistesse nel fatto che solamente lui fosse in grado di sbattere con successo le uova senza l’aiuto di un qualche attrezzo elettrico che avrebbe finito per modificarne il gusto. A lui spettava quindi la preparazione in occasione dei pranzi natalizi e veniva servita per accompagnare il cappone lesso già in pentola, a fuoco basso, fin dal primo mattino del 25 dicembre. Altri familiari avrebbero fatto un ragù speciale, quello senza bricioli, come dicevano i più piccoli, perché venivano usate fette di carne al posto del macinato e non c’era conserva, perché i pomodori erano i pisanelli degli orti di Antignano, (famosi per la fertilità delle terre), messi in vetro alla fine di agosto per conservarli per tutto l’inverno.
La mia era una famiglia di macellai e commercianti di carne, ma la carne non era la sola protagonista nelle nostre cucine, il pesce non mancava sulla nostra tavola, quello fresco, pescato nel nostro mare dallo stesso zio che faceva la maionese e quello secco dei mari del nord con cui si faceva lo stoccafisso con o senza patate che venivano aggiunte alla ricetta originaria per aumentare la quantità quando le bocche da riempire si facevano più numerose! Ci volevano giorni per prepararlo, alcuni necessari per l’ammollo, altri per reperire le cipolle più gustose, preferibilmente quelle di Tropea, i pomodori più succosi e non si doveva scordare di ordinare il pane perché serviva quello più rustico, quello di campagna e non si trovava facilmente nei forni di città.
Poi c’era lei, la Regina delle pietanze: la salsa al pomodoro per la quale si compravano i pomodori più maturi e si sceglievano le foglie più verdi dalle piante di basilico che non mancavano mai nel nostro giardino. La ricetta di famiglia che spero di riuscire a tramandare, accontentando anche vegetariani o vegani, se mai ce ne saranno, sarà proprio quella del sugo come diciamo noi in casa, perché in quella parola ci sta il massimo per condire una pastasciutta. “Che banalità” penserà qualcuno, “Tutti sanno fare la salsa di pomodoro! Posso essere d’accordo anch’io, ma ognuna è diversa a seconda di chi la fa e in pochi riescono a fare di una salsa al pomodoro un vero sugo.
La ricetta l’ho imparata da mia madre e per fissare bene quei piccoli accorgimenti che lei suggeriva, l’ho scritta utilizzando il più possibile le parole sue. Quando la preparo i miei figli affermano che il sapore sembra quello del sugo che lei cucinava per loro e il ricordo degli anni passati affiora dolce e intenso ad ogni forchettata.
Oggi siamo tutti dei potenziali chef: è sufficiente aprire il frigorifero, scegliere quello che è rimasto di commestibile in mezzo a yogurt scaduti e limoni ammuffiti, scrivere il nome di quell’ingrediente su un qualche sito di cucina ed ecco comparire miriadi di ricette, facili e rapide da preparare e così eseguiamo, mangiamo, qualche volta replichiamo se ci è piaciuta, ma non tramandiamo più, tanto basta un click e ci pensa Google.
Tutto quello che sta intorno all’elenco di ingredienti e alla procedura di preparazione, tutto il vissuto che nel corso degli anni c’è stato intorno a quei piatti, lo stiamo però perdendo. I pochi libri di cucina rimasti in circolazione sono ormai un elenco sterile di ricette che esaltano la possibilità quasi scientifica di abbinare tra loro ingredienti ritenuti inaccostabili fino a quel momento. Ci viene descritto come impiattare, suggerito quali vini da accompagnare, ma non ci viene detto nulla sugli odori che si respirano nella cucina di casa, a volte gli stessi che si respiravano nella nostra infanzia, nulla su quei profumi che ammaliano e avvolgono oggi come allora, nulla di quei volti vaghi e gocciolanti disegnati dai bimbi sui vetri della finestra mentre sul fornello acceso, borbotta un tegame pieno di chissà quale quotidiana prelibatezza.
Le immagini sono dell’autrice
Elisabetta Lorini
Come è vero! Chi di noi non fa il ragù ripercorrendo le procedure della mamma e se il risultato non è del tutto identico resta comunque il piacere di aver ricreato quella magia. Grazie di averci ricordato l’importanza culturale e affettiva del cibo.