Vai al contenuto

Mal d’Africa

Tema n. 4

Le foto sono dell’autrice

Vorrei raccontare di un mio recente viaggio in Africa. All’ombra delle piramidi devo dire che, se i pensieri si gonfiavano, affollavano, scontravano, scollavano dai libri di storia e geografia come segnalibri scomposti, le parole, al contrario, scemavano nei confronti delle immagini.

Sale nell’acqua che si trasformava in una soluzione dalle proprietà disinfettanti e antinfiammatorie, a difesa di un organismo troppo abituato alle consuete e comode delizie europee. Un vecchio rimedio, quello che raccomandavano le nonne: brucia, ma disinfetta, e smacchia pure. Però le parole, così diluite, servono a poco. I pensieri, invece, distillati attraverso l’alambicco della vista, che pure resta offuscata da una luce pura di cinque millenni fa, mettono le ali.

Di fronte a tanta bellezza si può pensare di voler esserci nati, laggiù. O magari di convincerci o illuderci di averne avuto almeno radici lontane. Sarà per questo che il venditore di tappeti e sciarpe a Luxor, dopo avermi guardato negli occhi e sorriso, riuscì a farmi sentire egiziana.

«I tuoi tratti sono di qui, ne sono certo; mettiti un kaftan, cammina per strada e nessuno si rivolgerà a te in altra lingua che non sia arabo».

Non mi chiese di comprargli cosa alcuna, ma mentre il pullman stava per partire mi fece cenno di tornare indietro al portellone: mi tese un pacchettino di plastica trasparente da cui si intuivano le tre piramidi e la sfinge di gesso. Con garbo e con raro gesto rifiutò le mie poche monete. Ero confusa e felice come una ragazzina.

Poi i check point, i giovani soldati armati, i bambini che nuotano nel Nilo accanto ai battelli, o che seduti e asciutti in equilibrio su una tavola si arrampicano sugli scafi e ti cantano una canzone in cambio di un euro.

Tutto questo resta nella mente al ritorno e oltre, e fa riflettere sulla bellezza e il dovere dell’accoglienza in questo nostro paese così gravido di ricchezze d’ogni genere. Perché se vale il desiderio di tornare, una voglia ancora più grande di condividere deve farsi spazio all’esterno. In caso contrario, mi parrebbe di fare come quell’allevatore di bovini, in terra rusticana e pisana, cui un rappresentante di macchine mungitrici spiegava le comodità di cotanta tecnologia e la resa di un tale investimento iniziale nel tempo futuro. Il contadino, dopo essersi posto il pollicione destro sotto al mento e l’indicione sulla bocca storta, grattandosi con la sinistra la pidocchiera chiedeva senza pudore alcuno e con calata inconfondibile: «Ma codeste macchine costì, o quanto me le mette?». E alla risposta dell’informatore rispondeva: «Mì! Così tanto? Allòra mi tengo lle mi’ donne, che le pago come voglio!». In barba a tutte le offese di genere. Ecco.

Patrizia Salutij

Pubblicato inBlogPronti attenti blog

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *