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Perché si scrive

La foto  è di Bermix studio

Riflessioni personali sulla scrittura

Recentemente mi hanno domandato perché scrivo.
Era una domanda più che giustificata considerando che stavo presentando un mio libro.
Subito dopo mi hanno chiesto se avessi altri progetti o “roba nel cassetto”.
Ho risposto in primo luogo alla seconda domanda, dicendo che sì, avevo diverse cose nel cassetto, compreso un gran numero di poesie.
Ho detto anche come sono arrivata alla prosa e quando è successo, il tutto con grande facilità.
Il difficile è stato rispondere al quesito: perché si scrive? E non importa cosa.

Perché si scrive
Si può scrivere per dovere, si può scrivere per il puro piacere di farlo, ma, in questo caso, va previsto un corollario: costa molta più fatica e le aspettative sono molto più alte.
Scrivere è stato, per decenni, una parte del mio lavoro, che prevedeva infinite relazioni, giudizi, recensioni, piani operativi. Tutta roba di bottega, utile, ma noiosa, non come una giornata di pioggia, ma come i quaranta giorni del Diluvio Universale.
In questo ambito ho scelto un linguaggio semplice, ho scelto di evitare accuratamente tecnicismi autocelebrativi, ho scelto la sintesi, ho scelto di non usare mai e poi mai l’odioso burocratese.
Questo però non è “scrivere” nel senso che intendo io.
Allora che cos’è scrivere e perché lo facciamo?
Provo a rispondere.

Certe volte scrivere diventa un’esigenza, una vera e propria necessità personale. Nessuno ce lo ha chiesto, o almeno, è raro che capiti, ma scriviamo perché non ne possiamo fare a meno.
C’è qualcosa che si mette fra un’idea e il vivere quotidiano, dapprima con esitazione, poi in modo sempre più imperativo che si traduce nel mettersi davanti ad un PC o, nel mio caso, davanti ad un quaderno bianco, con una scorta di penne.
Scrivere per me, è fare chiarezza nel groviglio di sentimenti, situazioni, relazioni ed emozioni che toccano tutti noi.
È un modo di riviverli, di liberarsene, di esorcizzarli o di farli crescere in consapevolezza.

Scrivere è anche viaggiare.
È andare lontano quando è necessario, è capire cosa ci serve davvero, a cosa dobbiamo rinunciare o cosa, certe volte, scrivere è diventato essenziale non per sopravvivere, ma per vivere.

Scrivere è anche fare ordine nel passato (prossimo e remoto).
Scrivere è condividere fallimenti e dubbi, come pure scoperte e verità grandi e piccole.
Scrivere è un atto di coraggio e di fiducia.
Chi scrive, rivela se stesso, in modi diversi, questo sì, ma sempre concreti.
Chi scrive si espone ai giudizi e alla critica, si schiera contro la normale apatia e indifferenza verso gli altri.
Va detto anche che ci sono critiche che fanno crescere e critiche gratuite o addirittura maligne.
Ovviamente questo vale anche per la vita di tutti i giorni, ma per lo scritto pesa di più perché, in genere, chi scrive è come se presentasse un regalo di non compleanno, con la speranza di far piacere al destinatario e ci resta malissimo quando la reazione è deludente.

Scrivere poesia
Chi poi scrive poesie è nudo.
Il Poeta – anche Cacasenno – è sempre un eroe, è sempre un modello di coraggio incosciente, perché entra nella fossa dei leoni, senza neppure una foglia di fico, che gli regali la pia illusione di una qualche copertura.
Chi scrive poesie, almeno per me, può parlare solo di quelle scritte da altri, ma con pudore, con rispetto, con la consapevolezza di non essere un Padre Eterno, ma solo un esploratore, attento, se va bene.
Chi scrive poesie non può parlare delle sue, può solo farle uscire fuori, come tanti aquiloni in una sera di estate o di primavera, lasciando che vadano dove li porta il vento.

Manolia Gregori


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