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La violenza sulle donne

La violenza sulle donne: un ritornello continuo, martellante, ma comunque insufficiente a rendere meno grave il problema. Sono mille i modi e mille le motivazioni, consce e inconsce, mai comunque lecite, per esercitare e tentare di giustificare una violenza, che è sempre grave e terribile e che sancisce sempre l’insana voglia di dominio dell’uomo.

La compagna di classe – Sheila Bandini

Era il lontano 1995, le scuole medie erano ormai un ricordo e il peso dello studio e l’austerità del liceo erano il presente. Non ricordo la circostanza, ma fui messa al corrente di una storia a cui non volevo credere. Il padre adottivo di una mia ex compagna era stato denunciato per molestie nei suoi confronti. Rimasi basita: come avevamo fatto a non accorgerci di nulla?
Sì, è vero, era un uomo bizzarro, ma mai lo avremmo pensato capace di una simile mostruosità. Ma soprattutto, come avevamo fatto a non leggere la paura e la vergogna che si celavano dietro al sorriso con il quale la nostra compagna ci accoglieva ogni mattina?
A quindici anni è davvero incomprensibile. Ti sembra irreale, un brutto sogno da dimenticare. Invece quel lontano ricordo è vivido in me e mi è tornato in mente in più di un’occasione, soprattutto quando io stessa mi sono sentita vittima di attenzioni moleste, comportamenti scorretti e insinuazioni volgari.

Sono stata ragazza, oggetto di sguardi lusinghieri che mi hanno fatto piacere. Sì, piacere, perché il sentirsi apprezzata non è un peccato. Però, se solo accenni a un sorriso di risposta al complimento, lo sguardo dell’uomo cambia e fa paura! Oggi, donna adulta, non oso più nemmeno voltarmi al complimento di un simpatico vecchietto. La paura del proprio aspetto, della scelta di un abito, di parcheggiare troppo distante dal locale della serata, non è giusta, non deve esistere. È un limite alla nostra libertà di donne.

Ho due figlie di cui sono orgogliosa e sono madre di due future donne. Con il loro crescere, crescono in me la paura e l’ansia. Mi chiedo come posso proteggerle dalla violenza, dalla volgarità e dalla prepotenza che spesso si annida nell’uomo, ma non solo?
L’indifferenza è ciò che fa più male. Il menefreghismo di una società autoreferenziale che spesso non è capace di sentire, di vedere e di capire. Penso allora che educare all’ascolto, alla sensibilità, alla libertà, al rispetto e all’altruismo possano essere già dei valori capaci di far loro discernere il bene dal male, il buono dal cattivo, la debolezza dalla fragilità, l’inciviltà dall’ignoranza.
Sarà sufficiente? Non lo so. So che è importante non far mai sentire sole le persone perché la solitudine rende vulnerabili. Non far sentire sola una donna, ma forse, ancor prima, non far sentire solo un ragazzo, un bambino affinché non sia lui per primo vittima di insicurezze, vulnerabilità e frustrazioni che poi farà ricadere sugli altri.


Il male vero – Marco Rodi

Le ricette, i risultati delle analisi e gli scontrini dei farmaci erano tutti lì e riempivano interamente un tavolo. Tanti, troppi ed erano solo quelli dell’ultimo anno. All’ultima visita specialistica dell’ennesimo male (l’impossibilità di camminare senza dolori), le parole del medico furono chiare e inequivocabili: “Signora, il male vero lei lo ha qui” e si indicò con l’indice la testa. Cominciò così un percorso d’analisi, quella classica freudiana. Un percorso di parole, confidenze, aperture, riflessioni tra i mali che non finivano mai: disagio sociale, sempre ultima ovunque, difficoltà digestive, dolori articolari e muscolari di ogni genere, difficoltà ad avere una vita sessuale regolare, fino alla fibromialgia, tra le ultime diagnosticate. Fra le parole, i sogni. Tanti. Sprazzi di ombre oscure, di luci e immagini che si perdevano nella notte dei tempi. Lei, cinquantenne, tra le maglie di un’infanzia, nelle pieghe delle reti familiari per rivisitare se stessa. E apparvero ombre nere, terrificanti e incombenti. Indistinte da principio. Il tentativo di fuga, la bravura della professionista a insistere, incoraggiare, assistere. Lei c’era, ma c’era nonostante tutto anche la paziente. Poi un giorno l’esplosione, l’ombra che non è più un’ombra, il nero indistinto che si trasforma in abito talare e lei, nove anni, obbligata a prestazioni sessuali, trattenuta per la testa, le mani laide abilitate alla benedizione a frugare ovunque. Rimozione per non impazzire, per nascondere la colpa. Riportare alla coscienza, rivivere il trauma, digerirlo e digerire il passato, superare la vergogna, vincere i sensi di colpa e riprogettare il futuro con occhi nuovi. A cinquant’anni, quando la vita per buona parte è già stata vissuta. È durata mesi.

Sulla cima del monte, dopo una lunga arrampicata, guarda l’orizzonte e il mare blu in lontananza e sorride, mentre non trattiene una lacrima di gioia.

Il pranzo sull’aia – Marco Rodi

È una domenica come le altre e parenti e amici si apprestano al pranzo sull’aia. Lei, la ragazzina, dodici anni, si allontana per andare a prendere qualcosa. Non torna più. Dopo molti minuti la madre la trova a letto e la prende a scapaccioni. La ragazzina però tace e non le dice di avere la febbre alta. Passano gli anni, molti, è sposata, ha marito e figli, ma non sta bene: non sta bene con se stessa, ha difficoltà nei normali rapporti con gli uomini, ha difficoltà nei rapporti sessuali, ha continui malanni che si susseguono e che la costringono a una vita di malattie e ricoveri. Al di fuori di qualsiasi contesto sociale, pur avendo un’intelligenza pronta, ha interrotto gli studi universitari e chiuso diversi rapporti di lavoro senza valide motivazioni, per dedicarsi solo alla famiglia, così asserisce, pur seguendo con attenzione i fatti della vita. Un percorso terapeutico non ha portato che lievi miglioramenti di breve durata.

Un giorno, accanita fumatrice, entra in tabaccheria per le sigarette. Un uomo è già lì e sta finendo i suoi acquisti.

Un odore, l’odore forte di quell’uomo, un paesano che conosce e vede da una vita, la colpisce improvviso. Sta per svenire mentre le immagini di quella domenica le si ripresentano nitide alla mente. C’era quel ragazzo nei pressi della loro casa; l’aveva presa, trascinata all’interno del fienile e lì l’aveva stuprata. Lei, dopo il fatto, si era rialzata, aveva sciacquato la veste estiva sporca di sangue e si era messa a letto. Tutto rimosso; la mente aveva cancellato ciò che il corpo si ostinava a ricordare. Nuova analisi, lunga, lenta, non è facile rielaborare il passato, accettare il fatto. Indietro non si torna, le ferite rimangono e talvolta continuano a far male.

Sheila Bandini e Marco Rodi

La foto è di Nadine Shaabana da Unsplash

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