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Antologia, che passione…

(Articolo a più voci)

L’etimo del termine antologia si rifà al greco: fiore di pensiero/ragionamento.
E questo è l’antologia: un insieme di fiori che vengono da semi diversi, nutriti in terreni ancora diversi, che si sviluppano in autonomia, anche se condividono lo stesso cielo. Dopo, questi fiori, queste piante, possono diventare un giardino e questo può essere ricco e articolato, oppure semplice e modesto, poco importa.
Quel che conta è che a tutti piace entrarci dentro, passeggiare ed annusare, osservare e magari cogliere qualcosa. Non siamo così uguali da cercare ed apprezzare le stesse cose: c’è chi va in visibilio per un albero ricco di ombra, alto e solenne, e chi neanche lo guarda, perso nel colore di fiori spontanei o nel profumo di erbe aromatiche. Dopo ancora può succedere -ed è bene che sia così- che nasca un interesse speciale per qualche “fiore”, cioè per qualche autore che è riuscito a collegarsi a noi, a stimolarci, incuriosirci, provocarci. Perciò, sì, ben vengano le antologie, ben vengano i florilegi di tanti, se riescono a far nascere “fiori di pensiero”.

Manolia Gregori


Leggere si deve. Quando ho incontrato un’antologia per la scuola secondaria di primo grado che si chiama “Liberi di leggere”, indipendentemente dalla bella varietà del suo contenuto, già il titolo mi è parso un bellissimo incipit. È geniale l’idea che dentro tre parole, anzi due, possano illuminarsi i vettori principali su cui far correre e crescere l’identità di un individuo nella società che l’accoglie. Libertà di scelta, emancipazione, conoscenza, interpretazione critica, cultura trasversale, in definitiva sono tutte premesse per formare donne e uomini del nostro tempo nel percorso del loro apprendimento. 

E a noi cosiddetti “maturi”? A che serve una lettura antologica? Che non si smetta mai d’imparare, che gli esami non finiscano mai sono realtà, non solo modi di dire, che permetteranno anche a noi di crescere, se ci concederemo il gusto di lasciarci andare nella spirale di un’educazione permanente e il più possibile universale. E allora auguriamoci che anche per noi si concretizzi la possibilità di veder nascere e consolidare valori certi da una lettura estesa: libertà, condivisione, empatia… Tutto nel caleidoscopico panorama delle emozioni di chi, in maniera diversa e personale, alla scrittura affida il suo messaggio di esperienze.

Patrizia Salutij


Io vorrei appellarmi al senso di responsabilità di chi scrive. Chi scrive sapendo che sarà letto o proprio allo scopo di essere letto. Lo scritto non è mai neutrale, non si manifesta mai nel vuoto. Anche lo scritto leggero, superficiale, banale, ha un senso: propone e giustifica leggerezza, superficialità, banalità. Lo scritto non impegnativo invita al disimpegno. E il disimpegno ha un reale valore e impatto sociale. Ancora di più lo ha lo scritto che si presume impegnato. Se ha l’indubbio merito di avere qualcosa da dire, deve avere la prudenza di valutare gli effetti che con quel dire si propone, oltre alla accortezza di verificare la verità o, almeno, la plausibilità di ciò che scrive.

Al detto: “rifletti prima di parlare”, andrebbe aggiunto il detto:” rifletti prima di scrivere”. La legittima libertà di espressione deve trovare dentro ciascuno di noi il suo limite. Nel proprio senso di responsabilità.

Arturo Falaschi


Antologia, nido di incontri

Il nostro linguaggio non è ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi, diciamo che è il modo di comunicare più incline all’essere umano. Abbiamo ormai appurato che anche nel mondo animale e vegetale e perfino in quello dei funghi esistono dei legami che possiamo assimilare a forme di comunicazione più o meno complesse, ma lascerei a naturalisti più esperti i dovuti dettagli. Gli umani hanno un piccolo osso sotto la lingua, lo ioide che è stato rinvenuto anche nei resti archeologici dell’uomo preistorico: uno studio italiano ha dimostrato che l’uomo di Neanderthal comunicava con l’emissione di suoni. La nostra capacità primordiale di comunicare emettendo suoni è sicuramente qualcosa che affascina, ma la nostra abitudine all’ascolto di versi e canti di tanti animali che vivono intorno a noi, ci induce a pensare che non sia così stupefacente che anche i nostri antenati preistorici accompagnassero con emissioni sonore le loro azioni, anche solamente per reagire ad un pericolo.

Da bambina non mi ero soffermata più di tanto sul linguaggio degli uomini preistorici che immaginavo molto simili alle scimmie nell’aspetto, con gli stessi versi e tutto il resto, compresi i volteggi con le liane, in alto, tra gli alberi della foresta, come vedevo nei film di Tarzan. Poi un giorno, sulle pagine del sussidiario, vidi una foto, era a colori, fatto abbastanza raro per i libri scolastici che contenevano poche immagini e in bianco e nero. La foto è rimasta talmente impressa nella mia memoria che la ricordo ancora oggi: si trattava di un graffito rinvenuto sulla parete di una grotta, raffigurante un quadrupede con le corna e accanto un essere bipede molto più piccolo. Il disegno era realizzato con pochi tratti di incisione sulla roccia e tuttavia l’insieme di quei segni riusciva a mostrare l’intensità dello sforzo del bipede nel tentativo di dominare la potenza dell’animale espressa dalla muscolatura gonfia per lo sforzo di resistere. Ricordo che provai a riprodurre lo stesso disegno più volte ma fu molto frustrante scoprire che il disegno di un cavernicolo, fatto presumibilmente con una scheggia di pietra dura, era migliore del mio, fatto milioni di anni dopo, con un lapis ben appuntito.
Da quel giorno ho compreso che quella fosse la chiave del progresso dell’essere umano, destinato ad una evoluzione incredibile rispetto al resto degli esseri viventi che insieme a lui popolavano il pianeta: un primitivo era riuscito a disegnare una scena di vita a lui familiare, a fare un racconto, a immortalare un’emozione sulla ruvida e fredda parete di una grotta, per se stesso, per altri insieme a lui, per quelli che sarebbero venuti dopo.

La scrittura è tutto questo. Lo è per me, forse lo è per tutti coloro che sentono il bisogno di rendere indelebili pensieri e parole che altrimenti si perderebbero per sempre, come un’onda che lambisce la riva e subito dopo viene spazzata via da un’altra e da un’altra ancora. Un’antologia di racconti è come raccogliere tante onde provenienti da direzioni diverse. Le onde si colpiscono, si mescolano con guizzi e spruzzi improvvisi come le emozioni e le idee che incontrandosi si arricchiscono e si fortificano.

Elisabetta Lorini


Un’antologia di autori uniti in un’associazione è una cosa molto positiva per vari aspetti. Analizziamo quali secondo me sono i più importanti.

  1. La Diversità crea unione. Ogni autore porta con sé la sua esperienza, sensibilità, punto di vista distintivo e uno stile personale. La raccolta antologica permette di unire queste diverse prospettive in un unico lavoro, offrendo ai lettori una gamma di voci, di idee diverse.
  2. Lavorare insieme arricchisce reciprocamente i propri lavori, aiuta la condivisione delle conoscenze e delle capacità.
  3. Lavorare a un obiettivo comune crea un senso di comunità tra gli autori e contribuisce a rafforzare i legami tra gli scrittori.
  4. Amplificazione della visibilità. Una raccolta antologica che coinvolge diversi autori può raggiungere un pubblico più ampio rispetto a lavori singoli. Ogni autore porta con sé il proprio seguito e la propria cerchia di lettori, contribuendo così a una maggiore visibilità collettiva.
  5. Apprendimento reciproco. La collaborazione all’interno di un’associazione offre opportunità di apprendimento reciproco. Gli autori possono imparare dagli stili e dalle tecniche degli altri, sviluppando così le proprie competenze e ampliando il proprio bagaglio creativo.

In sintesi, la raccolta antologica di vari autori uniti in un’associazione offre una serie di vantaggi che vanno oltre la creazione di opere letterarie. Favorisce la collaborazione, la diversità creativa e la crescita reciproca, creando un ambiente in cui gli autori possono prosperare insieme.

Socio anonimo di a.l.a. (A.I. Anonymous Intelligence)


Mi ricordo che…
il giorno in cui sfogliai per la prima volta le pagine della mia antologia scolastica delle elementari scoprii un tesoro di conoscenza e divertimento. Ogni pagina era come una finestra che si apriva su un mondo di avventure, di emozioni e nuove prospettive. Quel libro non rappresentava solo un insieme casuale di testi, ma una collezione curata con attenzione che celebrava la varietà e l’utilità della nostra esperienza umana. Era un invito a esplorare, confrontare e apprezzare la bellezza della diversità, che rende la vita straordinaria.

Paolo Baroni


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