Vai al contenuto

Dalla scuola di Barbiana al nuovo millennio

Tema: 9 La Scuola

La foto è di Andrea Ruberti

“Lettera a una professoressa” è stato un caposaldo della rivoluzione pedagogica della scuola. In quel libro don Milani, attraverso il racconto di storie di bambini in una scuola di montagna, traccia le linee di una pedagogia che tenga conto delle condizioni sociali di bambini in parte deprivati. In quella scuola c’era Pierino, il figlio del dottore, primo della classe, con buon lessico e ottime prestazioni intellettuali, ma la stragrande maggioranza erano figli di contadini, privi delle più rudimentali conoscenze scolastiche.

Non c’era in quella scuola un esercito di insegnanti, non esistevano i sostegni, esistevano invece le “pluriclassi” quelle dove contemporaneamente i bambini imparavano a leggere a scrivere, insieme ai più grandi che si avviavano verso la licenza elementare. Qual era la ricetta che usava Don Milani? Semplice: conoscere il desiderio di apprendere le cose della vita attraverso le esperienze pratiche e scoprire di ciascuno i suoi talenti.

Ora di bambini non ne nascono tanti, i pochi nati qui si affiancano a uno stuolo di immigrati e di ragazzi fragili, rimbecilliti da telefonini, giochini elettronici e da una furiosa pubblicità che sa bene come condizionarli. Non costa poco creare immagini accattivanti, spot e film spettacolari, ma il gioco vale la candela se si riescono a condizionare persone che della loro presumibile lunga vita hanno percorso solo pochi anni. Una pubblicità per gli anziani servirà solo per poco tempo, quella per un bambino durerà tutta la vita.

Nel frattempo la nostra società è progredita. Aboliti i manicomi per i bambini, gli istituti medico psicopedagogici (anticamera del manicomio per minori), demolite le classi speciali e riconosciuta la necessità di una legge quadro per le persone disabili, l’istituzione di un accompagnamento e un sostegno per i ragazzi disabili che finalmente frequentano le scuole normali, ecco rispuntare ora una strisciante pedagogia che non dispone più di un progetto individuale per ciascun bambino, ma  di generici profili standard creati per gruppi ristretti e categorie pseudo-patologiche.

L’insegnante, via via ha perso valore nella credibilità sociale, non percepisce uno stipendio adeguato, non è riconosciuto dalle famiglie come persona illuminata a cui affidare l’educazione dei loro figli. L’insegnante è colui che deve assecondare le aspettative dei genitori, pena talvolta l’aggressione diretta di qualche genitore frustrato. E la frustrazione serpeggia anche tra gli insegnanti, specie quelli già avanti nella professione, fino al burn-out.

Nei primi vent’anni del nuovo millennio nella scuola pubblica il numero delle persone con handicap è quasi raddoppiato. Il fenomeno dell’incremento non sembra arrestarsi. La crescita è visibile anche nel grafico degli ultimi 4 anni (Tratto da: Focus Principali dati della scuola – Avvio Anno Scolastico 2022/2023) relativo al numero degli studenti portatori di handicap e contemporaneamente a quello dei posti degli insegnanti di sostegno. Nell’anno scolastico il fenomeno nella scuola rappresenta il 4,1 % del totale degli iscritti e registra un incremento del 7% rispetto all’anno scolastico precedente.  

In una classe di venti – trenta alunni, ci saranno da salvaguardare quelli disabili, ipotizziamo il 4%del totale, che grazie alla legge 104 del 1992 hanno diritto all’affidamento di un insegnante di sostegno, ma anche quelli con Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSAp), ipotizziamo fino al 6%, che grazie alla legge 170 del 2010 hanno diritto ad un progetto pedagogico individualizzato (come se non fosse un diritto di ciascuno, patologico o normale) e ad alcune facilitazione e supporti strumentali (i cosiddetti strumenti compensativi e le misure dispensative). Ma, esistendo altri bambini in difficoltà che non rientrano nella condizione di handicap e nemmeno in quella di persona con DSAp (la cui diagnosi peraltro richiede valutazioni multidisciplinari complesse, in centri accreditati), il Ministero dell’Istruzione nel dicembre del 2012 è corso ai ripari con una direttiva che estende i benefici della L 170 a nuovi soggetti identificati come persone con Bisogni Educativi Speciali, i cosiddetti B.E.S. Questa parola sembra divenire una nuova categoria diagnostica, quasi una malattia. Tutti quelli che non sono portatori di handicap né rientrano nei soggetti con DSAp, malgrado palesi difficoltà, vengono definiti B.E.S.

Nelle classi dunque accanto ai bambini già certificati (quelli con handicap e quelli con disturbo di apprendimento), sicuramente ci saranno altri bambini che in qualche materia o nell’andamento generale mostrano esitazioni o difficoltà da lievi a gravi. Sull’osservazione dell’insegnante che li ha identificati, il capo d’istituto scriverà una lettera alla famiglia con l’indicazione di rivolgere al pediatra di famiglia. Ecco allora che il pediatra o il medico di famiglia potrà inviare allo specialista il bambino con supposte necessità di BES. L’invio sarà diretto a servizi specialistici, già carenti di personale, finendo per intasare il sistema alla ricerca di una diagnosi utile all’espletamento della procedura. Armandosi di pazienza la famiglia dovrà trovare un appuntamento nella struttura pubblica oppure se abbiente o disperata al privato accreditato.

Peccato che i bisogni educativi speciali dovrebbero essere individuati direttamente dalla scuola e non necessitano di un parere medico specialistico. Infatti il decreto ministeriale del 27 dicembre 2012 e tutta usa serie di circolari esplicative successive chiariscono che l’individuazione di un alunno con B.E.S. non deve caratterizzarsi per il profilo e il percorso clinico, ma per quelli pedagogici. Fabio Fogarolo, esperto di didattica e collaboratore della casa Editrice Erikson di Treno, ha scritto più volte a chiare lettere che i BES non si certificano!

Per concludere, mentre l’handicap è per sua natura permanente (almeno nella stragrande maggioranza dei casi) i BES possono essere transitori e rivedibili qualora vengano superate o aggirate le condizioni di svantaggio.

É questo il caso di quattro bambini venuti in Italia con genitori immigrati dall’ Asia che sono stati iscritti nelle nostre scuole come pesci fuor d’acqua senza avere ricevuto alcun supporto per l’apprendimento della lingua o proposte di socializzazione del tempo libero. Per uno di loro, iscritto in seconda elementare, è stata inviata la “solita” lettera con l’invito a recarsi dal pediatra. Guarda caso il nostro bambino aveva difficoltà nella lettura della lingua scritta ma mostrava vivacità e intelligenza nei calcoli matematici a mente. Riusciranno i loro genitori a capirci qualcosa in queste frettolose indicazioni “sanitarie”? Riceveranno presto indicazioni pedagogiche e sociali?

Con un po’ di pazienza, un po’ di senso comune e fiducia nelle straordinarie abilità dell’apprendimento delle lingue nei bambini si poteva risparmiare un fiume di inchiostro dei nostri professionisti e un po’ d’ansia nel percorso di integrazione di un’intera famiglia immigrata.

Serie storica degli alunni con disabilità e dei posti di sostegno.  AA.SS. 2018/2019 – 2022/2023

Giorgio Pini

Pubblicato inBlogPronti attenti blog

Un commento

  1. Anna Maria Citi Anna Maria Citi

    Verità sacrosanta. Avendo insegnato proprio a cavallo (come era uso dire) tra i due ultimi millenni, ho notato l’incremento di alunni H, DSA e BES (che tristezza inquadrarli in sigle!). Non commento per lamentarmi del fatto che il povero insegnante, spesso nemmeno preparato ad affrontare correttamente i bisogni degli studenti “diversi” (vorrei sapere cosa vuol dire visto che ognuno di noi è diverso a suo modo), debba preparare due, tre, anche quattro tipologie di prove di verifica adatte (speriamo) ai singoli casi, chiedendo un parere al collega di sostegno, leggendo, frequentando corsi per capire le varie problematiche… Dovere e anche piacere se l’insegnante non fosse stato investito da incombenze burocratiche sempre più pressanti che lasciano sempre meno spazio al bello della didattica, che è studio del COME promuovere conoscenza e competenza per TUTTI gli studenti.
    Soluzioni? Montalianamente dirò che non ho formule ma so cosa NON fare: classi differenziate (di nuovo? ma scherziamo?), didattica uguale per tutti e soprattutto arida valutazione dei risultati senza attenzione per la situazione di ognuno.
    Grazie per aver affrontato questo tema.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *