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Apollo e Dafne

L’alba mangia veloce la notte. Abbraccia leggera l’orizzonte in un fascio di luce rosata.
Il mare si muove con un ritmo lento e delicato, alcuni gabbiani si lasciano cullare sospesi sull’acqua, aspettano il giorno per riprendere il volo.
Cammino lungo la riva, mi ribello al freddo umido coperta da una tuta tecnica. Vado verso il giorno, aggrovigliata nei pensieri. Vorrei risolvere la questione della guerra fra Russia e Ucraina senza passare da Trump e Putin. Conta poco la mia opinione, conta ciò che riesco a vedere oltre le apparenti posizioni della gente. Non appartengo a categorie precise, sono una mercenaria e vendo le mie abilità informatiche a chi più paga. Mi chiamano hacker. A volte infrango le regole dei sistemi informatici e apro varchi inesplorati, distraggo i percorsi in altri accidentati e sommersi da input. È diventato facile oggi, disturbare il sistema, l’AI omologa la struttura informatica, gli algoritmi si prostituiscono a richieste scontate. 
Com’è sciocca la gente che limita l’infinita capacità di esplorare del proprio cervello! Un’intelligenza infallibile di risorse, un impianto elettivo perfetto che muove strategicamente il corpo, i muscoli, gli organi e li invia nello spazio sapendo dove e come farlo procedere.
L’intuizione è sapienza dell’umanità, corpo e mente in un’unica sostanza mutevole. Eppure, la sedentarietà, la fatica di creare, farà estinguere questa ameba umana che si riproduce a fatica e si preoccupa di bombardare i suoi simili.

Sono stata incaricata di riprogrammare l’impianto di sicurezza della Galleria Borghese, stasera alle 16 ho il colloquio per firmare il contratto. 
Abito a Ostia e il tragitto per Roma con il treno è breve.  Arrivo con molto anticipo all’appuntamento, sono impaziente di visitare la collezione del Museo. Pago il biglietto e mi confondo fra i turisti. Si cammina bene nel lusso del Palazzo, le mie scarpe con le suole di gomma non fanno rumore, i miei occhi apprendono bellezza ovunque. Il mio cervello registra armonia. Mi fermo davanti a due giovani ragazzi e seguo il loro sguardo curioso.


È di marmo bianco la statua che guardano, un intreccio luminoso di corpi e vegetazione. Sospesi e aggrappati sembrano volare e posarsi leggeri su rocce sconnesse e da lì ripartire in una danza giocosa nell’aria. Fronde diventano i capelli, rami le braccia, della donna i piedi veloci si fanno radici*. Dell’uomo si legge l’intento rapace, un manto, come il vento l’avvolge, il braccio come un turbine afferra il corpo della fanciulla che invoca il Cielo, prega di non essere presa. invoca e si muta nell’albero caro agli eroi vittoriosi, l’alloro simbolo di fama perpetua.

Leggo la didascalia:
Gianlorenzo Bernini- Apollo e Dafne 1623-25.
Desiderò di lei il dio, le perfette forme. La morbida, tenera pelle e le dolci curve dei fianchi.
Non piacque alla ninfa, la pretesa, il possesso, l’arroganza del Dio. L’avrebbe amato, bastava poco, se solo si fosse posto vicino, paziente, con voce dolce cantare poesie d’amore, l’avrebbe ascoltato suonare la lira, l’avrebbe, allora sì, circondato di fama eterna, riscattando il suo animo dalla perdizione dei sensi.
 Divenne l’incontro divino la metamorfosi di un epico inganno.  Virtù che si sottrae agli imbrogli.
Fugge Dafne dall’abbaglio e cerca il fulcro in radici di eterna fioritura, verso il cielo si espande la natura del suo amore, spezza le catene e, fulgore nell’universo, si contrappone al luccichio di Apollo che uomo diventa, fragile e incapace di cogliere il sottile sentimento di gioia che pervade un amore sincero, reciproco. La sua forza si spegne sulle foglie che di luce si nutrono per vivere in sintesi con linfa e radici, con la madre Terra e con il fiume Padre di tempo.

Scipione Borghese aveva incaricato il giovane Gian Lorenzo Bernini di scolpire nel marmo l’idea della metamorfosi di ovidiana ispirazione, in quel tempo in cui il mito si sovrapponeva a tutte le sciocchezze di pensiero, erano gli dèi le origini del Tutto e del Niente, dell’immenso e dell’eterno, e anche dell’oltretomba. 

Delle continue trasformazioni che la Natura crea, credo che Bernini rispose alla richiesta del suo colto, religioso committente e nel marmo freddo, bianco, luminoso affondò lo scalpello, lisciò la superficie con pelle di squalo, rese al mondo ciò che la fama sublima, il valore dell’anima che sa trasformare in gioia il dolore.

Apollo e Dafne rimangono in quegli occhi teneri dei due giovani curiosi di esplorazioni emotive, salgono felici in una spirale che avvolge la trasformazione da umana forma a vegetale forma. Si depositano nei loro cuori e saranno certezza di un passato d’arte e di storia, di miti sopravvissuti negli animi dei cercatori di beatitudini mistiche.

Foto di Anna Pagani

Mi siedo sul freddo pavimento, un mancamento mi prende. La memoria del mio sistema neurologico è piena, spengo l’immersione sinestetica, in un momento sono colei che si veste di fama silenziosa e chiude il suo destino nella speranza di una rinascita.
Preparerò il sistema d’allarme migliore e rimarrò nell’ombra di un’eterna lotta fra il bene e il male.
Sono un’hacker è vero, e ora so che posso far splendere anche dentro di me un barlume di saggezza intuitiva e trasformarmi da minaccia dell’ignoto virtuale in reale salvezza del patrimonio artistico. 

 * In frondem crines,in ramos bracchia crescunt,
pes modo tam velox pigris radicibus haeret,… OVIDIO, Metamorfosi I 548 sgg.

Le altre foto della Galleria Borghese sono ricavate da Wikimedia Commons.

Anna Pagani


Pubblicato inBlogPronti, attenti, blog! 2025

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