#pablog2025 Tema 14 Davanti a un’opera d’arte
Sei mai stato travolto dalla sensazione che, in questo diluvio di scatti digitali, si sia persa un po' della magia?
Nell’era del digitale a portata di mano “fare una foto” è diventato un gesto automatico, spesso frettoloso e privo di spessore. E’ sparita la riflessione e la suggestione che un tempo avvolgevano l’atto di scattare.
Ma c’è ancora chi si ferma, chi osserva il mondo con una lente più profonda.
Oggi vi portiamo nello sguardo di Martina Corradi, fotografa amatoriale e lettrice appassionata. Martina ci offre una prospettiva intima.
Preparatevi a interrogarvi sul vostro sguardo, perché il suo racconto è personale, riflessivo e denso di poesia.
Questa cosa che non so dire
“Una foto è sempre invisibile: non è essa che si vede. Si vede ciò che essa mostra.”
— Roland Barthes, La camera chiara
Ho scattato questa fotografia senza pensarci troppo.
C’era la luce.
C’era una schiena nuda.
C’erano le rocce che tagliavano la scena come domande.
C’era il mare, certo. Ma non l’ho cercato davvero.
Mi sono limitata a fermare qualcosa che stava svanendo.
Non ho pensato a chi l’avrebbe vista.
Non ho cercato di spiegare.
Ho solo obbedito a una sensazione che non si poteva dire a parole.
“Questa cosa qui—questa cosa che non so dire—la voglio fermare.”
E ora che la riguardo, questa immagine mi parla di assenza.
Non per chi c’è, ma per chi non c’è.
Non per ciò che si vede, ma per ciò che resta fuori.
Come un respiro interrotto.
Il mare, in fotografia, non è mai solo il mare.
È ciò che ha portato via.
Ciò che trattiene in silenzio, senza mai restituire niente.
“Davanti a una fotografia, io non so mai se guardo un momento vissuto da qualcun altro, o un tempo che mi manca.”
— Roland Barthes
Chi guarda cerca sempre una storia, una spiegazione, un volto, un dettaglio che dia senso.
Ma io—da qui, da chi ha premuto il pulsante—non volevo raccontare nulla di speciale.
Volevo solo fermare l’impercettibile momento in cui la presenza si ritira e diventa soglia.
Questa fotografia non mostra dolore, né gioia, né nostalgia.
Eppure chi guarda può trovarci qualsiasi sensazione.
Non perché le ho messe lì, ma perché l’assenza si deposita nelle immagini come polvere, anche quando non la vedi.
Fotografare, per me, significa questo:
non spiegare, non mostrare,
ma custodire qualcosa che non può essere detto.
Perché come scrive Barthes, non è l’immagine in sé a commuoverci,
ma il futuro impossibile che essa contiene.
Un tempo che non tornerà, un attimo che non appartiene più a nessuno.
E allora, chi guarda una fotografia ci mette dentro quello che sta vivendo.
Non vede solo ciò che c’è nella foto, ma ciò che in quel momento sente.
Vede la propria mancanza, il proprio desiderio, il proprio ricordo.
Ogni fotografia, in fondo, è uno specchio muto:
non mostra solo ciò che è stato,
ma tutto ciò che, per ciascuno di noi, non sarà mai più.
Martina Corradi

Le foto che conservo rappresentano tutte istanti vissuti, luci e ombre, colori, sfumature, movimenti, gesti, espressioni, paesaggi. Ogni foto imprime nell’animo la tagliente, sottile, inevitabile certezza che quelle esperienze, io e quelle persone mai saremo più.
Allora, mi consolo con un pensiero che scrissi un giorno:
“Quando il bisogno di rivedere
chi visse nel mio tempo più giovane
si fa più forte
non sfoglio scorci di commedie
sospese nel tempo,
immergo la memoria dei volti sbiaditi
nella grazia della musica
e li sento muoversi ancora”.
Grazie Paolo, il pensiero che hai scritto quel giorno è davvero bellissimo.
Ho ritrovato, in queste righe, quello che ho inteso dire nel mio scritto “quello che vedo” che si potrebbe anche tradurre in “quello che fotografo” .
Ma qui è espresso molto meglio. Complimenti.
Grazie Arturo