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La ginestra

Tema 8: Una lettura importante

Mi scuseranno i miei eventuali lettori se li annoierò con un testo che tutti conoscono fin dall’adolescenza, quando un improvvido docente gliene ha propinato la lettura magari con l’obbligo di saper fare la parafrasi di quei 317 versi ardui per forma e per significato e spesso lontani dall’orizzonte culturale di un diciottenne.

Ma se qualcuno, per gli strani casi della vita o per dovere o per amore, ha avuto occasione di rileggerli, non potrà non essere stato colpito dalla modernità e dalla forza di quella tesi espressa con la metafora della ginestra. 

In breve, per non tediare nessuno, in questo canto Leopardi, trentottenne ma ormai al capolinea di una vita segnata dalla sofferenza fisica ed esistenziale, ci lascia in eredità, come in un testamento, la sintesi del suo pensiero sul ruolo dell’uomo nel mondo e la risposta propositiva che, nonostante tutto, si può dare alla malignità della natura.

E lo fa non con una dissertazione filosofica, anche se il ragionamento logico è serrato, ma con una metafora, quella appunto della ginestra, un fiore umile ma tenace che Leopardi vede riprodursi e diffondersi sul terreno brullo e desolato delle pendici del Vesuvio, suo panorama abituale dalla villa di Torre del Greco in cui soggiorna nel 1836.

La tesi a cui Leopardi è giunto da tempo è nota: la natura ha creato l’uomo con un inesauribile desiderio di felicità ma gli ha negato la possibilità di soddisfarlo, anzi lo opprime con mille malanni. Come dargli torto? Nella migliore delle ipotesi, anche un uomo longevo, esente da gravi malattie, che non ha dovuto affrontare problemi economici o eventi tragici, circondato da affetti… avrà pur conosciuto qualche dispiacere e dovrà comunque lasciare questa vita come è accaduto a persone care che lo hanno preceduto e, soprattutto, a meno che non abbia una fede incrollabile in un mondo ultraterreno o in un progresso risolutore di tutti i mali, avrà sofferto della sua fragilità esistenziale e della ignoranza del senso del suo soffrire.

In genere l’uomo comune preferisce non guardare in faccia la verità e nascondersi dietro comode illusioni dichiarandosi felice e addirittura combattendo contro chi non condivide la propria visione del mondo: la sua ottusità è sinteticamente ed efficacemente espressa attraverso la similitudine con i soldati (gli uomini) che, cinti d’assedio dalla natura (il vero nemico), si mettono a duellare con i loro compagni vittime dello stesso assedio! Basterebbe questa considerazione per bandire tutte le guerre o meglio combattere schierati su un unico fronte solo quelle contro la fame, la malattia, l’ignoranza, l’ingiustizia, la discriminazione che rendono ancora più dolorosa questa nostra già dolente condizione esistenziale. 

Ma torniamo a chi non vuole chiudere gli occhi e continua a chiedersi che fare di fronte alla condizione umana di ineliminabile sofferenza.

L’esempio viene proprio dalla ginestra che, lungi dal dichiararsi già vinta da una nuova eruzione del vulcano che prima o poi la sterminerà, cresce ed elargisce al mondo lo splendido colore giallo delle sue infiorescenze, pur nella precarietà della sorte e nell’aridità del territorio in cui è chiamata a sopravvivere.

La prima lezione della ginestra è quindi la presa d’atto della sua fragilità: la ginestra conosce la pericolosità dell’ambiente, non si illude che la sua presenza sia permanente né tantomeno destinata a migliorare; la seconda è la scelta di vivere rigogliosa, profumata e luminosa pur nel contesto asfittico e ingrato che le è concesso: la vita della ginestra è comunque attiva e spesa nell’intento di donare agli altri il conforto di un profumo dolce e di un’immagine di luce, simbolo di conoscenza; la terza è la collocazione in grappoli dei fiori: la ginestra non è isolata sul suo stelo ma lo condivide con altre sue simili.

Ed è questa l’utopia leopardiana: tramontata l’immagine del poeta pessimista, gli si sono finalmente riconosciuti l’intransigenza della protesta contro la sventurata condizione esistenziale dell’uomo e il rifiuto di ogni facile consolazione; di contro, nell’ultimo Leopardi, è evidente anche l’indicazione chiara di un modo per vivere per quanto possibile più sereno, senza abdicare alla propria intelligenza ma senza disperarsi, individuando nella solidarietà il valore che può essere di sollievo alla fragilità degli uomini che possono riscattarsi non vivendo con rassegnazione né tantomeno infierendo contro i propri simili, ma operando per dare e ricevere conforto.

In questi tempi bui, in cui le grandi ideologie sono crollate (male o bene?) e gli uomini sono rimasti nudi con la loro coscienza, questo messaggio di solidarietà mi pare una luce autentica, la sola in grado di garantire una convivenza civile in questo nostro mondo imperfetto.

La foto è stata fornita dall’autrice.

Anna Maria Citi


Pubblicato inBlogPronti, attenti, blog! 2025

2 commenti

  1. Cristina Quartarone Cristina Quartarone

    Sì,Annamaria,la solidarietà e’l’ultimo approdo del desolato pessimismo leopardiano,uno spiraglio di luce nella sua tenebra,simboleggiato dal colore giallo della ginestra e dal fatto che essa offre la sua bellezza ed il suo profumo a tutti coloro che passono sui sentieri neri di lava del Vesuvio.E’stato bello leggere il tuo bel commento nel giorno dei Santi che hanno la stessa disponibilità della ginestra, offrono a tutti il loro amore perché si sentono “custoditi da Dio”,protetti da lui sempre,come dice il Salmo 121 e possono sfidare ogni pericolo.
    Solo che Leopardi è ateo e pensa che la Natura sia indifferente alle umane angosce ed il suo messaggio è ancora più forte.Grazie per le tue belle parole

  2. Arturo Arturo

    Ne La ginestra, Leopardi tocca il fondo (o il vertice) del suo pessimismo o, altrimenti detto, del suo nichilismo portando alle estreme conseguenze il nichilismo della nostra cultura. La tragedia della vita umana non consiste prevalentemente nella banale constatazione di quei mali che Anna Maria giustamente cita, ma nella sua destinazione al nulla.
    “Qui su l’arida schiena / del formidabil monte / sterminator Vesevo …
    Sterminare è inviare oltre ogni termine o limite pensabile. Sterminare è inviare nel nulla. Questa è la costante minaccia alla quale la ginestra si trova di fronte. Lei sa della inevitabilità del destino, sa di non potere niente contro di esso, per cui accetta senza ribellioni o strategie di sorta il precipitare nel nulla. Solo è paga della sua consapevolezza e del suo canto che, come profumo, consola il deserto.
    “E piegherai / sotto il fascio mortal non reticente / il tuo capo innocente”.
    ma non “supplicando innanzi al futuro oppressor”, o “non eretta con forsennato orgoglio” ma tanto migliore dell’uomo “quanto le frali tue stirpi non credesti dal fato o da te fatte immortali”. Quindi il fiore del deserto non resiste al fuoco né mette in atto resistenze personali o sociali atte allo scopo.
    Perché nobil natura non è quella che lotta contro un destino indegno, ma
    “..è quella che / a sollevar s’ardisce / gli occhi mortali incontra / al comun fato e che con franca lingua, / nulla al ver detraendo, / confessa il mal che ci fu dato in sorte”.
    L’ardimento non sta nel combattere ma nel sentimento vero della morte e del nulla come la ginestra che osa sollevare gli occhi verso la bocca infuocata del vulcano.
    Ma anche l’ardimento e la nobil natura hanno carattere illusorio e soccomberanno:
    “E tu, lenta ginestra / che di selve odorate / queste campagne dispogliate adorni / anche tu presto alla crudel possanza / soccomberai del sotterraneo fuoco”.
    Ma se l’inarrestabile fuoco del vulcano é causa naturale del precipitre del mortale nel nulla, l’altro uomo risulta innocente e, in quanto comune vittima, è degno di amore.
    E ” … confederati estima / gli uomini, e tutti abbraccia / con vero amor, porgendo / valida e pronta e aspettando aita / negli alterni perigli e nelle angoscie / della guerra comune”.
    Ma la guerra comune non è l’organizzazione dell’esistenza contro la furia del vulcano (guerra persa in partenza) né l’organizzazione tecnica allo scopo. (La ginestra piega non renitente il capo). La guerra è il coraggio di guardare in faccia una realtà indegna dell’uomo e non fuggire di fronte a essa. E’ la guerra del canto del genio che effonde nel deserto il profumo della sua arte.
    Quindi, anche il vero amoreper gli uomini e il reciproco aiuto nel pericolo incombente del nulla fanno parte dell’illusione di quel canto e di quel profumo.
    Concludo, a proposito di pessimissmo, con i versi 200:
    “… qual moto allora / mortal prole infelice, e qual pensiero / verso te finalmente il cor m’assale? / Non so se il riso o la pietà prevale.

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