Tema 10: Figure di riferimento
Così sbilenco, con una spalla più alta dell’altra, andava per via, di traverso, come i cani. Nessuno, però, moralmente, sapeva rigar più diritto di lui.
Senza retorica, senza similitudini nobilitanti (anzi!), Pirandello delinea in due parole la dirittura morale del giudice D’Andrea: non è neppure il protagonista della novella in cui compare, ma la sua immagine mi accompagna da quando lo incontrai per la prima volta, ginnasiale o addirittura studentessa delle medie (che nei miei tempi preistorici erano un assaggio di cultura liceale).
La novella in cui è inserito, La patente, come tutti sanno, tratta in modo ironico della piaga della iettatura allora diffusa, soprattutto al sud; un uomo, che tutti considerano uno iettatore e per questo perde la dignità, il lavoro, la capacità di mantenere la famiglia e la possibilità di maritare le figlie, decide di querelare per diffamazione due giovani che hanno fatto gesti di scongiuro al suo passaggio, ben sapendo che perderà la causa perché la sua fama è conclamata. È quello che vuole: che sia sancito da una sentenza del tribunale il suo potere di iettatore, per avvalersene come di una “patente” per essere pagato per allontanarsi da luoghi pubblici o esercizi commerciali! Ma questo il giudice non lo ha capito e cerca di dissuadere il povero querelante a evitarsi il danno e la beffa.
In questo contesto tragicomico il giudice D’Andrea è una figura altissima a dispetto del suo aspetto fisico meschino e incongruente: smunto sparuto viso di bianco, capelli crespi gremiti da negro, vasta fronte protuberante, piccoli occhi plumbei… frutto di quei mostruosi intrecci di razze di cui la Sicilia era stata teatro. L’incongruenza del giudice D’Andrea non è solo esteriore ma molto più profonda: è un uomo che per mestiere è chiamato a giudicare avendo la socratica certezza di non poter nulla sapere e nulla credere non sapendo. Personaggio tragico, quindi, perché il suo dilemma esistenziale non può avere soluzione. Ma anche tale da destare infinita tenerezza.
- È solo, il giudice D’Andrea: nessuno dei colleghi è alla sua altezza, nessuno vuole ascoltare le sue perplessità, aiutarlo ad affrontare un caso delicato e insolito che liquidano con la mentalità dell’uomo della strada facendo gli scongiuri.
- È puntuale, il giudice D’Andrea: non tarda mai ad evadere le sue pratiche, anche a costo di procrastinare il pranzo o rinunciare alla passeggiata serale.
- È inesperto del mondo, il giudice D’Andrea: non aveva visto molto (ma molto aveva pensato).
- È pensoso, il giudice D’Andrea: la notte non dorme e se ne sta alla finestra a cercare di costruire figure geometriche unendo tra loro le stelle e perdendosi su quei fili ideali come un ragnetto smarrito (l’abbassamento prodotto dalla similitudine non può non farci provare tenerezza per il nostro giudice).
- È tormentato, il giudice D’Andrea: sa di non sapere e trova atroce dover invece emettere sentenze.
- È coscienzioso, il giudice D’Andrea: non riesce ad istruire un processo che sa che avrebbe avuto necessariamente un esito iniquo e cerca di convincere il querelante a desistere.
- È esente dalla superstizione, il giudice D’Andrea: sa bene che la iettatura è una falsa credenza popolare anche se deve accettare come presupposto per il giudizio la mentalità corrente.
- È umano, il giudice D’Andrea: capisce infine il calcolo del querelante che è costretto a degradarsi accettando il ruolo di iettatore per sopravvivere e lo abbraccia.
Perché dunque D’Andrea è una figura di riferimento? Intanto per la sua onestà intellettuale che lo porta a indagare su un caso anomalo che non capisce; poi per il suo essere a fianco degli sfortunati come la vittima della fama immotivata di iettatura; infine per la sua chiara consapevolezza della condizione umana perché D’Andrea sa che l’umanità è costituita da piccoli poveri uomini feroci: piccoli per il posto infinitesimale che occupano nel mondo; poveri per la loro incapacità di dare una risposta alle domande esistenziali che si pongono o, se non se le pongono, per la cecità in cui vivono; feroci perché si accaniscono gli uni con gli altri, illudendosi di sentirsi più forti vedendo altri in condizione di maggior sofferenza.
Già per questo D’Andrea rappresenta un esempio da seguire, un uomo che mette la propria cultura e sensibilità a servizio degli altri, con solerzia e senso critico, operando per il meglio.
Ma c’è di più. Spesso oggi i giudici sono messi in discussione, o per la lentezza dei processi che si imputa a loro carico, manchevolezza forse di alcuni che però nell’immaginario popolare ricade su tutti, o per la parzialità vera o presunta di cui sono sempre più frequentemente accusati quando le loro sentenze non rispondono alle aspettative dell’imputato.
La magistratura è per vari motivi, a torto o a ragione (non è questa la sede in cui affrontare l’argomento), sotto attacco di forze politiche, di gruppi di potere, di mezzi di stampa portavoce di interessi di parte, e i giudici spesso si trovano a dover scegliere tra “adeguare” le sentenze al giudizio mediatico già formulato o subire insinuazioni di parzialità o peggio ancora provvedimenti per il loro verdetto dissonante rispetto ai desideri degli imputati. Per di più l’operato della magistratura non sempre viene motivato in termini chiari anche per i non addetti ai lavori, in modo da dissipare quell’opacità che genera dubbi e sospetti sulla obiettività del percorso giudiziario.
In che modo D’Andrea potrebbe costituire un punto di riferimento per i giudici come lui? Per il modo problematico e scrupoloso ma solerte con cui affronta i processi, per il tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica (nei limiti consentiti) sui casi più delicati, per la capacità di affrontare ogni procedimento con strategie commisurate alle diverse situazioni, con l’intento di comprendere e correggere le debolezze umane, con l’umiltà di chi sa di avere di fronte la complessità dell’animo umano, senza la pretesa di essere detentore della verità o un giustiziere della società.
Obiettivo troppo alto da raggiungere? L’importante è mirare in quella direzione.
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Davvero una bella riflessione che parte dal personaggio pirandelliano,una figura complessa di giudice che ha dei limiti,come ogni persona,che però
delineano la sua grandezza di uomo coscienzioso e scrupoloso,di pensatore che ha il senso realistico della comune iniquità dei rapporti umani,contro la quale non c’è guerra né possibilità di Vittoria e poi arriva alla problematiche ,attuali in tempi di discutibili riforme della giustizia,che sono collegate alle figure dei Pm e dei giudici.Mi è piaciuto moltissimo,brava Annamaria!