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La lepre

La luna piena, in Sardegna, è tutta un’altra cosa. Sarà per l’assenza di umidità, sarà per il mare, per la posizione geografica o per altro ancora, fatto sta che è più grande e la luce che emana più intensa e più fredda.
Però in quella notte di gennaio, una notte calda e senza un alito di vento, era incredibile. Così grande e così vicina che sembrava un miracolo che non cadesse in mare e così luminosa da permettermi di leggere, alla sua luce, brani del libro che avevo tra le mani: era “Cos’è la verità” di Karl Jaspers, il filosofo esistenzialista che mi affascinava, all’epoca.

Camminavo molto lentamente lungo lo stretto sentiero che divideva la spiaggia dal bosco; mi fermavo a tratti, leggevo qualche riga e ripartivo nel surreale di quel chiarore.
La luce di quella luna cambiava il mondo: una luce bianca, meglio, senza colore, una luce che non condizionava la visione, per cui le cose sembravano essere per la prima volta lasciate finalmente libere di manifestare il loro essere proprio. Una luce che non rimbalzava sulle cose illuminate, ma del tutto assorbita dal loro nudo manifestarsi; che non si diffondeva a schiarire, appena un po’, l’ombra, ciò che non veniva direttamente illuminato. Nessuna penombra perciò; ed era proprio la mancanza di penombra quello che più colpiva anche se lì per lì non me ne rendevo conto.
L’ombra, allora, era il nero assoluto, il niente. Linee nette la separavano dalle cose illuminate, senza incertezze, senza sbavature, toni intermedi: la luce e le tenebre, nient’altro.
Su quel nero gli oggetti si stagliavano, emergevano precisi, freddamente definiti. Sorgevano come dal nulla che li circondava e sembrava averli partoriti. Stavano lì, in immobile presenza, in bilico, quasi in attesa che, tra poco, quando la luna sarebbe tramontata, il nero, il nulla li inghiottisse di nuovo. Tutto preciso e tutto precario sotto la fredda verità di quella enorme luna. Rappresentazioni, nient’altro, freddi giochi di luce. Nella loro concretezza esaltata dal buio da cui emergevano: irreali.
Ogni cosa era ugualmente illuminata, la vicina come la lontana; tutto evidente senza che la distanza ponesse un seppur lieve velo. Ne risultava un appiattimento un accorciarsi del senso di profondità, un essere tutto qui, a un passo da me. Uno spettacolo che si allargava e si assottigliava per me, a me.
O per quell’animale, forse un coniglio, forse una lepre, immobile se non fosse stato per repentini scatti delle orecchie: movimenti precisi e appena percepibili. Una statua piantata sulla sabbia, seduta, la testa alta, rivolta con fissità verso l’orizzonte, verso quella luna. Alle spalle la sua ombra, una macchia di inchiostro nero sul bianco della spiaggia.
Consapevole di non so cosa, di un’appartenenza forse, di una verità che, Jaspers insegna, è oltre l’ultimo orizzonte, oltre la visione del mondo, tanto più ingannevole quanto più chiara. Un sipario, scrive Jaspers; un mostrare che è anche un coprire. Un’evidenza tanto più ampia quanto più limitante lo sguardo.

A un tratto mi si mostrò il silenzio, carico di quel non udito che causava gli scatti delle orecchie della lepre. Quasi che anche il silenzio piovesse da quella enorme luna. A coprire, con il buio del senza luce, il brusio indiscreto del mondo.
Seppi, improvvisamente, di essere solo, unico al mondo, a quel mondo lunare che mi si mostrava; solo e incapace di sostare in quella solitudine, attento e tranquillo, semplicemente presente, come insegnava la lepre.
Quel sipario pallido, popolato di cose e di nere ombre, sembrava assottigliarsi sempre di più fino a minacciare di squarciarsi. Le linee di ombra mi apparvero come faglie di prossime fratture che avrebbero, fra poco, sgretolato quel presente astrale.
La luce si sarebbe divisa per sempre dalla tenebra, l’essere dal nulla; l’oltre, il celato, l’inimmaginabile, sarebbe apparso dietro gli inconsistenti frammenti che quella luce esaltava.
Solo l’enorme luna sarebbe rimasta a invadere e illuminare tutto lo spazio, solo la lepre a testimoniare l’immota presa di coscienza. Si doveva solo aspettare, senza desiderio né emozione, abbandonarsi a quella luna sempre più grande, emettere un immoto e silenzioso sì: accettare.
Ma l’emozione crebbe e si tramutò in angoscia, in paura. Il mio no si tradusse in un rapido andar via che, a mano a mano, divenne corsa verso i lampioni gialli e le luci del campeggio.

Solo la lepre, l’animale, restò lì, immobile, nella sua consapevolezza antica.


L’immagine di copertina è del reparto grafico di ala.

Arturo Falaschi


Pubblicato inBlogPronti, attenti, blog! 2025

8 commenti

  1. Bianca Gabrielli Bianca Gabrielli

    “A un tratto mi si mostrò il silenzio, carico di quel non udito che causava gli scatti delle orecchie della lepre. Quasi che anche il silenzio piovesse da quella enorme luna. A coprire, con il buio del senza luce, il brusio indiscreto del mondo.
    Seppi, improvvisamente, di essere solo, unico al mondo, a quel mondo lunare che mi si mostrava…..” basterebbero queste righe e già avremmo il poema più luminoso. Ma Arturo vuole regalarci dí più: un racconto che è luce senza ombre e buio senza contorni. Illusione di serenità e improvvisa paura. E quella lepre che si staglia contro il cielo , disegno ,illusione,mitologica eternità! Ogni riga ti scava dentro.

  2. Luciana Russo Luciana Russo

    Molto bello e scritto bene. Ti yrasmette la consapevolezza dell’essere solo nell’universo

  3. Vincenzo Sacco Vincenzo Sacco

    Sulle qualità della scrittura di Arturo sapevamo già molto. Con questo racconto, a mio avviso, si è superato. Ha creato un’atmosfera onirica di grande suggestione dove egli chiede a chi legge cos’è la verità e dove essa sia, ma non ci dà una risposta.
    Ognuno la troverà dentro se stesso o, forse, nel profilo notturno di una lepre.

  4. Silvia Leuzzi Silvia Leuzzi

    A tutto quello che è stato già detto e che condivido pienamente, aggiungerei l’intensità poetica impressa al ritmo incalzante delle parole.

  5. Grazia Chiarini Grazia Chiarini

    Il tuo bellissimo racconto, Arturo, mi ha fatto venire in mente un sogno ricorrente di quando ero ragazza. Sognavo una grande luna che diventava sempre più grande e luminosa . Ne scorgevo i particolari, affascinata e impaurita . La luna prendeva tutto lo spazio del sogno, sempre più grande, sempre più grande…

  6. Sarah Sarah

    Prosa e poesia si fondono in queste righe come fossero due diverse tecniche a dipingere uno stesso affresco.

  7. Anna Pagani Anna Pagani

    Ecco cosa significa esser ‘lunatici’, , vivere di luce e di ombre, di realtà e immaginazione!
    Bravissimo Arturo🤩

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