Tutte le foto sono di Anna Pagani
Sono tornata! Così mi va di dire al massiccio Pelmo che splende caparbio verso l’azzurro cielo.
È la prima domenica di marzo, il sole tiepido di primavera si allarga fra le gole montane e sui prati tappezzati di neve, i ruscelli cantano di fresche acque.

Io e Cristina camminiamo lungo la SP 251, intorno la natura si copre dei primi segni di rinascita. Sentinella della collina la piccola chiesa di Santa Fosca ci attrae con la sua semplicità.
La facciata è affrescata con la figura di San Cristoforo, che dalla leggenda agiografica s’apprende fosse un gigante buono, dall’aspetto un po’ minaccioso ma si sa, l’abito non fa il monaco!
E qui lo ritroviamo armato di bastone e coperto da una corta tunica. sulla spalla, in piedi si erge un piccolo bambin Gesù, gioioso e al sicuro nella sua missione di Salvatore. Cristoforo (Christos- phéro) nell’etimologia rispecchia la forma. Portatore di Cristo.
La porta d’ingresso è accostata, la spingiamo e ci troviamo avvolte dal profumo di incenso, l’altare brilla nel sole che dalle alte vetrate, s’impone nella aula religiosa. Un’ occasione mistica si rivolge alle nostre anime di donne d’altri luoghi e temperamenti. Si rischiarano i pensieri turbolenti sul crinale della salvezza.
La preghiera è un naturale prodigio, qui, nel silenzio, fra i banchi vuoti mentre due signore, forse le perpetue, sistemano fiori e puliscono le statue scolpite nel legno. Ha un carattere dolce l’atmosfera che gli archi acuti creano in altezze sottomesse ai decori floreali. I lampadari di ferro battuto, sono arabeschi sospesi, sono armonie di fiori nell’aria fumosa dei ceri accesi per la festa domenicale, e in fondo, quell’organo che si leva sontuoso alle nostre spalle, vibra di canti montani, di voci che immaginiamo di pace.
Percorro a passi lenti la breve unica navata centrale, sul pavimento, sopra una lastra tombale, leggo: NATALIS TALAMINI- SACERDOS- VIRTUTE VIXIT.MEMORIA VIVIT GLORIA VIVET
Una lacrima fugge sulla mia guancia, qui ritrovo la poesia che tutto invade e dilaga nel cuore in forma di commozione. Scorgo, nella caleidoscopica frammentazione dei miei occhi lacrimosi, appoggiato su un piccolo tavolo all’ingresso, un libro delle sue liriche, raccolte da Antonio Ronzon anch’egli innamorato delle sue origini, delle storie, dei personaggi del Cadore. Dedicò al Talamini un lascito dolce ai posteri che della montagna respirano così la via poetica dell’immensità traslata fin nelle più piccole vette della quotidiana storia del turismo di massa. Forse io e Cristina siamo fortunate a riconoscerci un po’ fuori luogo, perlomeno nell’apprezzare con curiosità la vita semplice della lentezza, del tempo che ti scorre addosso come una carezza.
Nella chiesa di Santa Fosca è sì passata un’oretta, nel mutismo dei nostri pensieri, ci siamo identificate con l’intima predisposizione all’amore per la vita, grate ciascuna di essere curiose, invadenti nel frastuono della conoscenza.
Usciamo, la luce del giorno è cresciuta nel cielo, forte, brillante. Verso ovest, sull’altra collina che volge al tramonto, un campanile svetta festoso e suona i rintocchi di mezzogiorno. Intorno si espande la gioia, tra i boschi che di verde macchiano le ripide forme delle montagne ancora innevate. Lassù sulle cime il sole si piega al candore. Dalle propaggini delle piccole frazioni di Santa Fosca e Colle Santa Lucia si guardano le due chiese sorelle, si salutano, abbracciano la natura nel segreto scrigno della tranquillità.
Colle Santa Lucia- Chiesa di San Lorenzo

Le guardo di nuovo mentre percorro da sola la breve salita del percorso CAI 465. Cristina è rimasta a casa.
Le vedo sbucare fra le macchie di neve dei prati, l’aria è frizzante e il sole lascia un tepore sulla giacca a vento fin troppo abbondante per questa stagione che sembra di primavera inoltrata. Le Dolomiti, patrimonio Unesco, conservano borghi antichi, in cui sentirsi proiettati nel passato è facile, addirittura nel neolitico, ne è testimone il vicino Museo Vittorino Cazzetta di Selva di Cadore. L’Andria è un bellissimo villaggio di case antiche, raggruppate intorno al torrente che scende dal Cernera e che un tempo avviava le macine del mulino. Saluto un signore seduto sulla panca davanti alla sua dimora, anche lui mi dice che il clima è alterato. Le stagioni non sono più quelle di una volta. Ha ragione. Il volto segnato dal tempo si rassegna nei suoi occhi azzurri come a confermare che qualcosa va storto nel mondo. Ha vissuto e vive il cambiamento climatico con accettazione, con un breve pensiero alle generazioni future. Un futuro che mi collega alla prossima estate e al caldo soffocante di Firenze. Ora però rimango qui, fra le nuvole sparse, seduta su un tronco di abete, con il profumo del muschio. Ascolto la neve sciogliersi in piccole gocce, lì nel prato che vibra di crescite nuove, di semi nascosti, di acerbi risvegli. I fogli bianchi nella mia testa si colorano di nuove poesie:
Ci sono persone sul sentiero, vanno
decisi verso l'orizzonte, qualcuno
s'accosta e aspetta che l’altro
arrivi, poi ripartono insieme.
Il nostro luogo è il mondo a termine,
un viaggio organizzato, valutato,
di valigie trovate, perse, riempite,
svuotate. Una piuma il destino,
una folata di vento l’esistenza,
nel tempo infinito dell'universo.
Aghi di pino, profumo acre la malinconia,
via da qui vola, veloce, nel borro
fosco e che nessuno più ti trovi.
Ho deciso che stanotte guarderò insieme a Cristina le stelle splendere nel buio terso e freddo. Ci chiederemo di nuovo dove ci troviamo, le rotte celesti saranno lì a ispirarci, e noi impercettibili voci commosse ci confonderemo con l’infinito.

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