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Ci ritrovammo come d’accordo un sabato sera davanti al circolo, uno di quelli alla buona, venti euro per cena e ballo.
Eravamo diverse coppie, amici di vecchia data non più giovanissimi. Una nuova coppia si sarebbe aggiunta a noi. Arrivarono con un leggerissimo ritardo. Lei avanti, lui poco più indietro per via del parcheggio.
«Scusateci, qui non c’eravamo mai venuti e abbiamo sbagliato strada», esordì lei.
Qualcuno fece le presentazioni. Un improvviso avvampare, un tuffo al cuore, due colpi inspiegabilmente accelerati, nulla di più, ed io ero già nella sua aura.
Era bella, ma non bellissima, e non fu nemmeno la bellezza a colpirmi. Fu altro, quello che in genere si chiama fascino, quel mix di caratteristiche difficili da descrivere. Come gli altri, risposi meccanicamente “piacere” e pronunciai il mio nome. Poi entrammo in fila indiana. La disposizione nei tavoli fu quasi una scelta obbligata dalle amicizie incrociate.
Mi sentivo strano; dentro di me un’ingiustificata frenesia fastidiosa e bella insieme. Lei e il marito finirono quasi in fondo alla tavolata, lei sul lato di fronte al mio. Ma era troppo lontana e, dal mio posto, potei solo ammirarla sforzandomi di non darlo a vedere. Era come se una forza misteriosa mi costringesse a voltarmi di continuo dalla sua parte.
Vestita con gusto, un sorriso aperto, i capelli castani appena sopra le spalle, chiacchierava amabilmente con chi le sedeva intorno e, nel farlo, dondolava la testa con grazia. Io origliavo cercando di capire che cosa stesse dicendo e quale fosse l’oggetto del suo interesse. Fatica inutile, il brusio era troppo forte.
La serata proseguì tra chiacchiere e risate mentre il profumo del cibo casalingo riempiva l’aria e la musica di sottofondo aggiungeva un tocco di magia.
Dopo cena, le luci si abbassarono fino alla penombra. Subito la pista da ballo si animò. Le coppie, una dopo l’altra, si alzarono pronte a lasciarsi trasportare dal ritmo della musica. Fu allora che la vidi prendere la mano del marito e avviarsi verso il centro della sala, dove io non potei fare altro che seguirla con lo sguardo.
I loro movimenti erano fluidi e perfettamente sincronizzati, fusi in un unico corpo. Ogni passo, ogni gesto, ogni sguardo tra loro trasmetteva una complicità che mi sorprese. Era un ballo sensuale, ma allo stesso tempo elegante e raffinato. La loro intesa era palpabile e io mi sentii fuori luogo, un ingenuo e un povero intruso in quella loro intimità così evidente.
Anch’io e mia moglie cominciammo a ballare. Niente di paragonabile con loro che erano davvero bravi, però anche noi lo eravamo.
Poi mi accorsi che lei ricambiava i miei sguardi: qualche occhiata furtiva rubata con piacere e con vergogna. Ne fui sorpreso, felicemente sorpreso. Nel volteggiare casuale delle coppie, incrociammo più volte traiettorie e sguardi. I sorrisi si addolcirono e ogni volta una strana corrente elettrica mi attraversò. Era come se, nonostante la sua intesa con il marito, ci fosse qualcosa tra noi, un’attrazione sottile e inevitabile.
“È solo una mia fantasia”, pensai, ma ero contento di quella fantasia, quasi felice.
In quel momento avrei desiderato rimanere con lei nel mondo ovattato di una nuvola, senza più niente e nessuno intorno. In quella dimensione l’avrei solo guardata, avrei ascoltato la sua voce e goduto del suo muoversi ed esistere. Dopo, ma solo dopo, avrei osannato la meraviglia del suo corpo.
La serata continuò, e io rimasi lì, inebetito dai sentimenti contrastanti che mi agitavano. Non successe nulla di più, ma quella corrente tra noi rimase, sospesa nell’aria, come un segreto condiviso solo da noi due.
Di lei non conoscevo niente. Una volta a casa, attraverso gli incroci di amicizie, trovai il suo profilo su Facebook. Affamato, mi ci buttai dentro: foto, post, amici, notizie personali. Fu una delusione. Lei era completamente diversa da me per gusti, idee, stile di vita e frequentazioni. Razionalmente compresi che non avrebbe mai potuto essere un’anima gemella, tuttavia quell’attrazione rimase intatta e, per alcuni giorni, mi sorpresi a pensare a lei e a sorridere come uno scemo mentre ricordavo i suoi sguardi fugaci. In seguito il ricordo di quella serata si attenuò, però evitai di passare nel quartiere dove abitava e, quando ne fui costretto, lo feci sforzandomi di non far correre i miei occhi tra la folla, in cerca del suo volto.
Trascorse quasi un anno prima che potessi rivederla e il caso giocò il suo ruolo perché, nonostante gli amici intorno e il loro vociare, l’incontro tra noi fu intimo.
«Ciao, che piacere?», le dissi, non avendo il coraggio di dirle: “Ciao, ti aspettavo”.
Lei mi porse la mano e sorrise.
«Anch’io ti aspettavo», mi rispose in un sussurro tra le mille parole intorno. E gli occhi le brillarono.
L’immagine è dell’autore
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